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Normalmente, flusso è il passaggio di materia o di energia all’interno di un campo, flusso è lo strumento per definire, in astronomia, quanto sono luminosi i corpi celesti, flusso è quel concetto che vale tanto per l’idrodinamica quanto per l’elettrodinamica. Ma, guardandosi un po’ attorno, il flusso non è solo questo, giusto per non parlare soltanto in termini fisici.
Nei pressi di Ravenna, flusso è anche l’iter attraversato, grazie a uomini come Manuel Agnelli, da una signora, tale Alessandra Gismondi, che si è vista nascere come “Bambina atomica”, coinvolgendo anche nientemeno che l’attrice hard Selen, e con l’intenzione, poco dopo, di gridare al mondo (ma con la voce di Agnelli) Lasciami leccare l’adrenalina. Flusso è quello che scorre nel “Velluto” da lei indossato poco dopo. Ed è anche, a suo tempo, la “cena violenta” che ha visto rinascere tanto la Gismondi quanto la sua arma di comunicazione, chiamata Pitch, dapprima con una parentesi sulla P e ora senza. Fuori la parentesi, fuori anche i vecchi componenti. E se si dovesse vedere la storia sotto determinati aspetti, non si potrebbe fare a meno di accostare i Pitch al Santo Niente.
E flusso è quello che porta, nel 2011, alla nascita di un nuovo disco in studio. Flusso è quello che gli dà il titolo. “Comme un flux“, appunto. Verrebbe da immaginarsi, con un titolo e una storia simili, una sottospecie di autobiografia dei Pitch. Magari sì, magari no.
Intanto quello che è certo è che basta poco più di mezz’ora per vedere dissolversi ai propri occhi ogni pessimismo ascoltando una voce suadente come quella della stessa Alessandra Gismondi, la quale può essere considerata come una “riot girl” che, scrollatasi di dosso i panni della donna grintosa di matrice in parte holeiana (con tanto di capigliatura bionda riecheggiante Courtney Love ai tempi di “Velluto”), ha un carisma molto più vicino a quello di una Kazu Makino, e allo stesso tempo non perde neanche minimamente lo spirito sonicyouthiano con cui si è vista nascere (tanto che, ai tempi, i più non avevano torto nel definirla la Kim Gordon del gruppo).
Così, tra Sonic Youth, Blonde Redhead e qualcosa della P.J. Harvey degli anni ’90, la “Bambina atomica”, rientrata dalla porta posteriore (The backdoor) del luogo da cui si era dileguata, si riscopre Divine nel suo DNA, golosa di vita (Real live) in quel di Vancouver e anche in quel di Parigi (ascoltare la title-track per farsi un’idea), circondata da fiori (Blossom) e da cuori, gli stessi che vorrebbe vedere tanto sparire quanto apparire (Any trace of love). Il tutto mentre è intenzionata a fare colazione sotto le stelle, e magari osservandole con la voglia di ballare, magari omaggiando Martha Graham.
Guarda caso guardando le stesse stelle che contribuiscono al movimento di quel flusso, che, in parole povere, altro non è che “la scossa più forte” che ha la Gismondi da quando ha cominciato la sua carriera di musicista, e che vuole trasmettere a chi ascolta le note che fuoriescono dal suo repertorio, mai banale, mai fermo su standard amorfi e troppo simili a se stessi.
Se “A violent dinner” rappresentava un segnale di riapertura dei giochi (mai terminati del tutto, semmai intervallati da qualche partita a tennis), “Comme un flux” è un’altra prova del teorema secondo cui, come già espresso altrove, il potere femminile non è mai stato e non è mai da sottovalutare, in un mondo come quello musicale.
Lasciarsi travolgere dal flusso è la giusta via per trovare la soddisfazione in una voce, un basso, un paio di chitarre e una batteria. Manuel già se lo immaginava, all’epoca, e bisogna dargli ragione.
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