Intervista ai Vegetable G, parte uno.

Ti voglio consigliare una cosa: non partire. Tu brilli meravigliosamente, sei alto e di bell’aspetto, ma queste tue doti non ti serviranno a niente nello spazio. I veri requisiti che devi possedere sono l’essere capace, onesto e soprattutto coraggioso. Non lasciare questo pianeta, se tu hai stima di te stesso solo perché il tuo corpo brilla e perché sei bello. Non sono queste le virtù che bisogna possedere, nello spazio. (Maisha, “Galaxy Express 999”)

L’almanacco terrestre”, preceduto dall’ottimo EP “La filastrocca dei nove pianeti”, è il nuovo – nonché primo in italiano – album dei pugliesi Vegetable G. Un album dai contenuti spaziali ed una dedica alla famosa serie d’animazione “Galaxy Express 999”. Ecco per voi, cari lettori, il resoconto del “viaggio” in compagnia del “vegetale” Giorgio Spada, principale autore del gruppo.

– Capitolo uno: La ballata della partenza.

Eccoci qua, è il giorno della partenza. È questioni di attimi e l’espresso Vegetable G 999 partirà per il suo viaggio intorno al sistema solare. Giorgio, sei pronto per partire vero? Dopo aver cantato“La filastrocca dei nove pianeti”, sfogliamo “L’almanacco terrestre” con un po’ di malinconia. Star per iniziare un nuovo capitolo della vostra storia?

– Partire? E quando ci si è fermati? Mai fermarsi… almeno con la mente altrimenti la si manda al macero fatalmente.

Come mai scrivi “999”? M’incuriosisce. Nel sistema solare ci sono già, come te, come gli umani, gli animali e i “vegetali” tutti e chiaramente me ne vanto.

Perché malinconia? Quest’ultima è per ciò che è passato e “L’almanacco terrestre”, raccolta di fatti e magari coscienza di essi, ha un senso in virtù di ciò che deve o potrebbe ancora accadere. “La filastrocca dei nove pianeti” sarà comunque presente come brano nell’album.

Un capitolo della nostra storia sicuramente, mai così sperato e mai così improvvisamente, inaspettatamente, sopraggiunto. Spero sia un capitolo aggiunto anche alla musica in Italia altrimenti ho e abbiamo fallito quantomeno nell’intenzione di preservare autenticità e individualità che, sommate, equivalgono spesso a: originalità. Il fatto che nel lavoro siano ravvisabili eventuali elettroni riecheggianti di riferimenti musicali, come già detto in alcune recensioni, non mi disturba affatto: siamo un vortice di ascolti somatizzati o sospesi, sono le nostre radici “musiculturali”, l’importante è che il risultato abbia il sapore di una nostra inconfondibile pozione.

– Capitolo due: Il romanziere dello spazio.

L’importante è che il risultato abbia il sapore di una nostra inconfondibile pozione”, che bella frase. “L’almanacco terrestre” è una perla pop: squisiti gli inserti elettronici, belli i fiati curati dal maestro Enrico Gabrielli, incantevoli e genuini i testi. E per quanto riguarda i paragoni, citerei alcuni rappresentanti del pop d’autore italiano: Amor Fou, Baustelle, Battiato. Ma, quello che vorrei sapere io, è com’è nato un album di questo calibro.

– Grazie per i complimenti. Con “perla pop” ci fai brillare gli occhi! Ecco, Gabrielli è un monumento per la scena musicale italiana perché riesce con intuizione spiazzante ad giungere all’atomo dell’ascolto, comprenderne le caratteristiche e costruirvi attorno una struttura luminescente degna di un’opera della natura. Gli arrangiamenti sono stati anche ragionati a posteriori perché avessero colori più pop ma niente, e dico niente, è stato architettato. Ad esempio abbiamo arrangiato lui fiati e io archi senza che l’uno sapesse dell’altro e magicamente si sono creati incastri assurdi. Un disco così nasce dal “caos” (nella sua accezione fisico – matematica) ossia da un brano come L’almanacco terrestre scritto nelle primissime  ore pomeridiane e poi da esso e nelle settimane seguire ne deriva un paradigma di suggestioni ancestrali, e futuristiche al contempo, che non saprei spiegare.

Non avevo mai scritto in italiano e forse questo primo brano mi ha incoraggiato a proseguire con la curiosità di un bambino che ha nuovi orizzonti in cui muoversi.

Amor Fou: li conosco molto poco… sembrerà strano ma non sono un grande ascoltatore, vado per ascolti fugaci e adoro il vago che resta; Baustelle: li apprezzo molto ma non sono nella barra dei preferiti; Battiato: è amore cosmico.

– Capitolo tre: Il pianeta “curiosità”.

Ecco, parliamo un attimo dei testi, scritti per la prima volta in italiano. Non sei il primo che inizia scrivendo i testi nella lingua d’Albione e poi passa a quella di Dante. Com’è scrivere in italiano?  Com’era scrivere in inglese? Ma soprattutto: come nasce un pezzo come La filastrocca dei nove pianeti? Propongo di utilizzarla come sigla di un cartone animato a sfondo spaziale: sai come crescerebbero bene i bambini?

– In inglese scrivevo pensando di non esser capace di coniugare le scelte musicali se non con la lingua che mi appariva d’esser più “gomma pane”, facilmente adattabile: un concetto = tre parole. Tuttavia restavo cosciente d’aver sempre amato la lingua italiana e prima ancora la letteratura classica ma specialmente il gesto stilnovista di adoperare simboli e metafore in modo dolce, alto e al contempo “volgare”, e soprattutto naturalmente inscindibile dalla forma “canzone”. Ecco: la grazia della lingua italiana e delle sue origini. L’inglese purtroppo non ha questa meravigliosa storia di grazia, ha altri pregi. Incomparabile sentirsi libero ora di fare qui e lì insomma…

La filastrocca dei nove pianeti è un gioco “sapientino” e credo che come tale arrivi ad alleviare o distrarre: l’astronomia, l’astrologia, la mitologia greca/latina, l’amore e la superbia ovvero l’essere umano e poi, perché no, anche i cartoni animati! Chi non ha amato Pollon? A posteriori mi rendo conto che potrebbe avere quasi una vaga utilità pedagogica e questo mi lusinga oltremodo. Ma resta una filastrocca: un’antica e futura canzoncina.

– Capitolo quattro: Dove esistono solo i ricordi.

Restando in tema “spazio”, Le cosa che pensano l’immagino cantata da un astronauta che parte per dimenticare la sua amata. Perché proprio quel pezzo della coppia Battisti – Panella?

– La tua è una visione molto romantica, la condivido. È stata una scelta legata alla grandezza del testo: vera, alta poesia. Quando le ultime parole in alcune frasi appartengono alla successiva si crea un gioco, un andamento armonioso che fornisce perfettamente l’idea del prolungamento proprio come “le cose”, intorno, “che pensano” divengono prolungamento di ciò che manca e a cui si sta pensando profondamente. Meravigliosa canzone ingiustamente mortificata, a nostro parere, dalla veste piano – baristica che le fu data in “Don Giovanni” (1986). Terribili gli arrangiamenti! Concedetemelo. Quindi il nostro è stato un tentativo, spero riuscito, di darle una veste più eterea, mi vien di pensare ad una medusa che fluisce tra fasci di luce e nebulose, lassù o laggiù.

Leggi la seconda parte!

Marco “C’est Disco” Gargiulo

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Blogger professionista e da sempre appassionato esperto di telecomunicazioni, serie tv e soap opera. Giuseppe Ino è redattore freelance per diversi siti web verticali. Ha fondato teleblog.it, tivoo.it, mondotelefono.it, maglifestyle.it Ha collaborato tra gli altri anche con UpGo.news nella creazione di post e analisi. Collabora con la web radio Radiostonata.com nel programma quotidiano #AscoltiTv in diretta da lunedi a venerdi dalle 10 alle 11.

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