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Come potrei dimenticarmi dei romani The Shadow Line? I Nostri sono stati autori, più di un anno fa, di un simpatico pezzo, corredato anche di un video altrettanto simpatico, intitolato Prima scelta: spezzoni di esibizioni, quasi in sincrono con il brano, di sessantuno artisti del panorama indie (passatemi il termine) italiano, e frasi come “Fossimo in UK ero già su NME” appaiono a tutto schermo, tra un frammento di concerto e l’altro. Loro, nei crediti del video, ammettono: “Uno scherzo smaliziato, una risata liberatoria. E fatevela pure voi insieme a loro, non avete niente da perdere”. Come non volergli bene, dopo questa bricconata? È bastato poco per farmeli disdegnare, ma ho preferito, invece di virare i miei ascolti altrove, ascoltare quello che era venuto prima di quella presa per i fondelli sopra citata: “Fast Century”, loro acerbo esordio, in inglese, e “I giorni dell’idrogeno”, fresco secondo album, in italiano. Mi raccomando, in un vostro prossimo video-parodia, inserite la seguente frase: “Preferisco l’italiano all’inglese, così posso arrivare più facilmente alle masse”. Scherzi a parte, è giunta l’ora di parlare della loro nuova fatica.
“I giorni dell’idrogeno” è composto da otto brani, per quaranta minuti di musica. Un po’ troppi, in verità, ma riservano dei momenti ben curati come La vita sognata, posta in apertura, e Regole di ingaggio, penalizzata, a mio dire, dal ritornello in inglese. Le chitarre a farle da padrone, ora melodiche, ora distorte. Vengono in mente gli Arctic Monkeys, ma anche i Masoko (periodo “Bubu’7te”), loro concittadini.
Gli unici episodi al di sotto dei tre minuti sono Settembre e Oblio. Il primo è un singolo perfetto, dall’alto potenziale radiofonico. Mi vengono in mente, ascoltandolo, i Finley del primo album, ma qualcuno potrebbe offendersi. Il secondo, invece, è un brano che strizza l’occhio ai primi Verdena, precisamente quelli dei tempi di Valvonauta.
Se proprio vogliamo trovare un difetto in questo lavoro, possiamo augurare ai quattro musicisti romani di sviluppare al meglio il lato lirico delle loro canzoni, i quali, ogni tanto, sembrano mostrare qualche debolezza rispetto a quanto di buono espresso musicalmente.
Un ottimo punto di (ri)partenza.
Marco “C’est Disco” Gargiulo per Mag-Music
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