Compact Moroboshi – Kambusa Rock Bar, Monopoli 25/01/12

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Gennaio è veramente un mese di merda. Non si capisce mai perché ora piove se dieci minuti fa c’era il sole… ma soprattutto, non si capisce perché nevica, se poi ti trovi in un paese sul mare della Puglia.

Fosse neve seria, dico io… Invece no, è quella fastidiosa che ti si attacca al parabrezza della macchina e tu devi scendere come un cretino mentre fuori si sta scatenando la tempesta del secolo, che manco l’uragano Katrina.

Insomma stai lì fuori, con la bottiglietta d’acqua in mano a congelarti le dita e inveire contro i marshmallows e pure contro il virus del periodo e pensi “ma perché virus infame non mi hai colpito in pieno, come uno Scania sulla tangenziale? Sarei stato a casa, mia madre mi avrebbe fatto il brodino caldo, sarei stato sotto le coperte a dormire. Ho anche le ultime di “How I Met Your Mother” da vedere…“. In tutto ciò il ghiaccio si è sciolto e tu puoi risalire in macchina e continuare l’ingrato percorso, mentre ti tiri su il mocciolo dal naso cercando di fare quanto meno rumore possibile perché, anche se sei da sola, non vuoi sembrare una mietitrebbia, ed è a quel punto che ringrazi l’egiziano incontrato quest’estate al semaforo, quello che ti ha rifilato a solo un euro, il maxi pacco di fazzoletti che preventivamente, in caso di emergenza, hai buttato a minchiam nel cruscotto. Perché, checché se ne dica, sono una che quando lascia robe in giro, lo fa perché sa perfettamente che prima o poi quella roba X sarà utile. Voilà.

Comunque è questa la situazione dinanzi la quale io mi son trovata mentre andavo al concerto dei Compact Moroboshi, ai quali io stessa ho augurato differenti infezioni ad orifizi che specificheremo in altra sede.

Arrivo al Kambusa Rock Bar, il bar che alle otto di sera è più vuoto del pacchetto di chewing-gum che tiri fuori in comitiva. Scendo nel privé e li trovo tutti lì, tre trentenni che ingollano specialità pugliesi e bevono Dreher senza soluzione di continuità; dopo un paio d’ore di eludibilissimi ciarle risaliamo in stile boy scout, (o in stile Spice Girls, dipende dai punti di vista) e inizia lo sciò.

Avete presente il punk, l’elettronica, l’hip hop e l’essere ganzi? Ecco. Il punto è che le qualità generiche le trovi molto spesso separatamente. Tipo: il ferro nel fegato, il calcio nel latte, la vitamina C nell’arancia etc. etc. Nei Compact Moroboshi ritrovi tutte queste cose insieme. Ed è veramente una figata.

Perché tu non te lo aspetti mica di star lì a scuotere le natiche, facendoti beffa di te stessa e della cervicale che nel pomeriggio ti stava uccidendo facendoti sentire un’ottuagenaria a Lourdes.

Pezzi che si susseguono l’un l’altro, motivetti vagamente punk di chitarra, che abbracciano un basso inventivo, che non si limita a seguire. Effetti sparati a raffica che non ti danno il tempo di pensare a niente se non “questa è la fine del mondo, le bombe! Le bombe!”. Questi pazzi non ti danno mica il tempo di respirare e realizzare il perché ti trovi lì. Non realizzi neppure il motivo per il quale il pubblico sia così moscio. Perché questa è stata l’unica nota negativa; pubblico tentennante a tratti annoiato, qualcuno qui e lì che agita il capo cercando di andare a tempo con il pezzo.

Meritavano di più questi tre giovinotti, meritavano di trovarsi gente zompettante e felice, gente che facesse finta di essere su una spiaggia di Miami mezzi nudi a bere cocktail analcolici alla frutta di colori super chimici e totalmente irreali.

Nonostante ciò hanno dato il meglio di sé, voci distorte, testi torrenziali composti in modo convincente, parlano del sentirsi soddisfatti, del relax. Questa è chuggyness e chiacchiere non ce ne vogliono.

Erano mesi, forse anni che in Italia aspettavamo una cosa del genere da qualsiasi punto di vista possibile; sono arrivati. Non mollateli. Cercateli. Vestitevi leggeri, tanto sudate.

Tutto sommato ho avuto culo a non beccarmi la febbre. Sai che sbattimento il brodino senza formaggino sciolto dentro.

Foto di Martino Chiti

Eliana Tessuto per Mag-Music

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Blogger professionista e da sempre appassionato esperto di telecomunicazioni, serie tv e soap opera. Giuseppe Ino è redattore freelance per diversi siti web verticali. Ha fondato teleblog.it, tivoo.it, mondotelefono.it, maglifestyle.it Ha collaborato tra gli altri anche con UpGo.news nella creazione di post e analisi. Collabora con la web radio Radiostonata.com nel programma quotidiano #AscoltiTv in diretta da lunedi a venerdi dalle 10 alle 11.

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