“Notte, locale mille porte, un fumo allucinante, le sigarette spente, puttane e spose, adesso tra tutto quel rumore, corto circuito piove, il neon che cade a picco e il buio fu… “.
Doppia vita o rinascita?
Un interrogativo interessante. Considerando il fatto che ci sono quelle volte in cui, a proposito di svariati musicisti dei quali è risaputa la loro militanza in due gruppi diversi e il fatto che facciano uso di due lingue diverse, c’è da chiedersi se, per gli Intercity, in particolar modo ripensando agli Edwood e al loro epilogo, venga da dire esattamente la stessa cosa. La risposta è nel mezzo: sì e no. Sì perché dietro gli Intercity ci sono sempre musicisti come Fabio Campetti e il batterista Pierpaolo Lissignoli, no perché ormai il posto che spettava alla lingua inglese è stato lasciato proprio a quella nativa, la stessa che ora i nostri cantano, con una voce addizionale in più come quella di Anna Viganò.
“Yu Hu” è il secondo capitolo di questa nuova fase, iniziata più di due anni fa con la pubblicazione di “Grand Piano”. Ascoltarlo è un passo che lascia constatare definitivamente una cosa: oggi questi ragazzi non sono dei semplici Edwood in italiano. Sono persone la cui penna non si esime affatto dal tirare fuori delle vere e proprie perle, la cui forma si concretizza ulteriormente nel lato musicale, sulle note di un pop rock con tutte le sue varianti.
“Torno a riprenderti, scelta tra perplessità, cuore pronto a sanguinare, il mio anfiteatro al mare… “.
Dall’iniziale Piano piano, tra Wong Kar-Wai e Rachmaninov, si svolge tutto assieme questo susseguirsi, sia quando Fabio e Anna cantano separatamente che nei momenti in cui decidono di unirsi in un’unica performance, cullati da strumenti che, nella loro totalità, s’inseriscono completamente nel contesto dell’album: degli archi lievi ma che sanno come comportarsi in occasioni maggiormente incalzanti, un sottile piano Rhodes, oppure dei semplici accordi di chitarra, tutti disseminati all’interno di quei territori che accomunano gli Intercity ai Perturbazione (Nouvelle Vague, L’elettricità, Terrore esotico), ai Northpole (Neon, Anfiteatro, Anais) e agli Scisma di “Armstrong” (Smeraldo, Un grande sogno). Fino ai colpi di scena, come il caso a parte Anti, traccia di chiusura il cui andamento e la cui attitudine si allontanano dalle altre composizioni, come a suggerire un ipotetico voltamento di pagina, ovviamente nel senso positivo complessivo del termine.
“Un attimo di stelle, squarcia il cielo tenue, tintinnio costante, abbracciandomi… “.
Con “Yu Hu” è indubbio che gli Intercity abbiano ormai raggiunto una certa maturità, tanto quanto l’avevano raggiunta nel corso della loro precedente esperienza in inglese, tale che ci si augura possa far sì che un progetto di questo stampo possa essere adeguatamente tenuto d’occhio nel corso di questo 2012.
Perché è vero che scrivere dei classici non è una cosa semplice, ma c’è chi ci riesce. E l’eccezione alla regola non s’immedesima di certo in questi ragazzi.
Gustavo Tagliaferri per Mag-Music
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