“A Path made by Walking” il nuovo sorprendente disco di Livia Ferri: la nostra intervista

“A Path made by Walking (BUM!, M.I.L.K.)” è il nuovo album della cantautrice romana Livia Ferri, che ufficialmente uscirà a novembre prossimo, però il cd è già disponibile nei live di Livia. Presto sarà stampato anche in vinile con una traccia in più, Comfort me, cover di Feist. A Path Made by walking, titolo ispirato da un verso di Antonio Machado, contiene dieci tracce di cui due strumentali, Happy e Love, e a cadenza di circa 45 giorni sarà divulgato un brano, per aiutare l’ascoltatore a seguire un cammino a tappe che porteranno alla conoscenza di se stessi e delle proprie scelte.

Iniziamo a capire come funziona questa uscita del tuo album, A Path made by Walking, che sarà nei negozi a novembre prossimo, ma che a cadenza di ogni 45 giorni uscirà un brano. Cosa è uscito fino ad ora?
Per ora è uscito un primo brano, Hyperbole, che apre il nuovo disco. Questa operazione è stata fatta perché il pubblico non deve soffermarsi solo sulle uscite singole dei brani, ma deve seguire un percorso, infatti, la scaletta del disco è stata fatta con un senso, che è appunto il cammino che avviene dal momento più buio, passando per quello più bello, per poi ritornare all’inizio di un altro ciclo, un po’ più pericoloso.

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Queste dieci tracce seguono, quindi, un file rouge?
Il concetto del disco, a cui sono molto affezionata, ma anche a quelli che hanno collaborato, è tutto nel titolo del disco, A path made by walking, un cammino si fa camminando. Uscire dalla sensazione di costrizione che può esserci rispetto alle aspettative della società o della famiglia o di qualsiasi cosa cerchi di metterci su dei binari, in uno schema prestabilito, e cioè, studia, lavora, metti su famiglia, che non sono consigli ma quasi delle intimidazioni. Io, in tutto questo, non mi sento a mio agio e penso anche tanta gente. Anche se la maggior parte delle persone seguono questi binari perché li rassicura, li toglie dalle responsabilità. Tanto, si dicono, io sto facendo quello che fanno tutti e se va male, non è colpa mia. Mentre non è vero, ognuno ha il destino nelle proprie mani o nei propri piedi, ed io ho preso consapevolezza che il mio cammino è il mio cammino, e nelle mie scelte non c’è giusto o sbagliato, perché non penso più di uscire o entrare nei binari, penso solo che è un’altra strada che sto percorrendo.

Con questo disco sei uscita da un tunnel, e cos’hai trovato al di là?
Più di tutto ho trovato la consapevolezza di un modo, in cui mi sforzo e cerco e mi piacerebbe vivere la mia vita, cioè il non sentirsi angosciati da aspettative altrui su come bisogna vivere la vita.

Ancora una volta brani scritti in inglese, ma in italiano?
Sto cominciando a lavorarci, mi piacerebbe molto riuscire a fare qualcosa che veramente mi piace. Per ora ci sto provando.

Seguirà un video ad ogni lancio di singolo?
No. Per adesso è stato girato Hyperbole e uscirà a breve. Sicuramente ce ne saranno altri, ma non saprei dirti quali.

Di cosa parla Hyperbole?
Ho scritto Hyperbole dopo un mese molto brutto in cui, per una serie di motivi, sono caduta quasi in depressione. Mi sono rinchiusa in casa a farmi male in vari modi e a tentare di scrivere, ma non mi piaceva quello che scrivevo, e, quindi, mi deprimevo sempre di più, fino a che, ripensando a delle persone che ho conosciuto e che ho visto lavorare, sono riuscita a ricreare quelle cose che avevo visto in queste persone, cioè a cominciare una canzone senza giudizi e la prima cosa buona scritta è Hyperbole. Parla di una lotta interna, molto dura, tra la parte di me che odio e quella che potrebbe salvarmi, ma che spesso è meno forte di quella autodistruttiva.

…e come sarà il video?
Il video è diretto da Edoardo Palma, un giovane regista molto bravo di Gaeta. Lui ha reso molto bene questa mia lotta interna, non svelo come. Dirò soltanto che non c’è una trama o una storia particolare nel video, ma tutta l’atmosfera del pezzo e il significato è resa molto bene dalla scelta registica e dal montaggio, un video molto poco rassicurante, girato nella camera da letto del regista a Roma, a San Lorenzo, ed è stato molto divertente, perché aveva messo la carta da parati che copriva una finestra con il rischio che se ti appoggiavi bucavi la carta.

livia ferri intervista

Livia Ferri

Chi ha collaborato in questo album?
I musicisti non sono gli stessi del precedente album, la band è totalmente cambiata. Ci sono alcune importanti collaborazioni, come Jack Jaselli, artista di Milano che ha vinto il Cornetto Music Festival 2014, con il quale siamo in contatto da un annetto e fa un piccolissimo cameo nell’ultimo pezzo dell’album, A Good Day to die. Poi c’è una grande partecipazione nel brano Patterns di Laura Loriga, in arte Mimes of Wine, un’artista di Bologna che vive a Los Angeles, ed è una pianista e una cantautrice eccezionale. In Hyperbole, invece, sono accompagnata dal contrabbasso di Stefano Battaglia.

Un album totalmente diverso dal primo, ma sempre registrato in presa diretta?
Secondo me è molto diverso, l’altro disco è stato registrato a tracce separate, mentre questo è quasi tutto live. Abbiamo suonato tutti insieme e senza metronomo. Dato che i pezzi li scrivo chitarra e voce, ci siamo concentrati su come io porto i brani che scrivo, quindi, tranne per due brani, abbiamo tolto completamente il clic e hanno seguito me e viceversa. Quando lavori così c’è molto più ascolto tra di noi. In questo disco non ci sono chitarre elettriche, ma solo acustiche, in un paio di pezzi alcune cose della chitarra acustica sono passate nell’amplificatore, poi c’è batteria, basso e qualche strumento. Abbiamo registrato sempre in una casa, non la stessa, in un casale in Toscana.

A Good Day to Die è il brano che chiude l’album…
È un buon giorno per morire, l’ho scritto mentre stavo uscendo da questa fase molto bella e positiva. Ho sempre avuto la sensazione che la vita sia un continuo di cicli positivi e negativi, e quando esci da un ciclo positivo e cominci a guardare nella prossima montagna russa che sta arrivando, ti dici oddio, basta, non ce la faccio più! Però è inevitabile che avvenga. Questo pezzo l’ho scritto per ricordarmi di tutto quello che ho imparato nel ciclo negativo precedente e per ricordarmi che i prossimi cicli negativi li posso affrontare con molti più strumenti, perché ogni volta impari qualcosa, e, quindi, è un buon giorno per morire, perché l’importante è anche nel male, andarci e metterci tutto.

The Boss, invece, è un altro omaggio a tuo padre?
No, per ora rimane solo Cassius Clay scritto per ricordare la scomparsa di mio padre. The Boss, invece, è il mio primo e spero ultimo brano di rancore verso una persona, che era mia amica e che non lo è più. Non mi era mai capitato di provare rancore verso una persona e, purtroppo, c’è sempre una prima volta, però penso di aver superato gran parte di questa sensazione.
La storia, che ha ispirato questa canzone, è successa prima di quel mese molto brutto, però era un momento in cui io non avevo superato delle cose successe prima, quindi, durante quel mese mi sono ritrovata ad affrontare tutto insieme.

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Hound dog?
L’ho chiamata così perché, per la prima volta, da qualche mese, ho un cane e ciò mi ha insegnato che noi umani siamo esseri molto particolari e impauriti, nonostante ci teniamo molto a dare l’impressione di essere molto sicuri di noi, mentre, in realtà, siamo spaventati da qualsiasi cosa, e, mentre la nostra vista si abitua agli scenari più orrendi, gli animali, in questo caso un cane, si affidano ai sensi e all’istinto e con questi mezzi scoprono molte più cose vere rispetto a noi.

Tu disegni, hai fatto tu il booklet del disco?
Disegno, ma non ho fatto io questo libretto del cd, che è stato realizzato da Martha Ter Horst, non è una grafica, ma una copywriter, ma secondo me è un’artista, perché ha fatto un lavoro veramente bello.

Nicola Garofano per Magazinet

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