“OH!” Sono tornati con stupore i Linea 77: la nostra intervista

Oh! È il nono disco del migliore gruppo italiano hardcore, i Linea 77: Tozzo, Dade, Nitto, Chinaski, Maggio e Paolo tornano dopo quasi cinque anni dal precedente album. Prodotto da Davide Pavanello (Dade) per l’etichetta INRI, l’album contiene dieci tracce, e sulla copertina impera una stupita Alice nel paese delle meraviglie. Attraverso impensate conquiste, ritorni e crescite, i Linea 77, seppur con una visione nuova, tornano alle origini del loro linguaggio musicale con testi dinamici che, nell’inquieta ricerca di una presa di coscienza, sfociano nella libertà che la band assume dinanzi alla realtà.

L’espressione “Oh!” è tratta da “Mutar lor canto in un ‘oh!’ lungo e roco” (Dante Alighieri, Divina Commedia – Purgatorio; Canto Quinto, V. 27).

Abbiamo intervistato Chinaski (Paolo Pavanello), pseudonimo che usava Charles Bukowski per i suoi libri più importanti, che Paolo/Chinaski ha fatto suo, “per me è stato determinante, dice Paolo dei Linea 77, Bukowski l’ho letto ormai più di vent’anni fa. È stata una folgorazione, mi sono immerso con l’anima e il cuore e il personaggio Chinaski, questo cinico sensibile, sembra un ossimoro, ma in realtà era così, era una cosa che mi piaceva molto”.

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“Oh!”, per Dante è un grido di meraviglia e stupore, mentre cosa rappresenta per i Linea 77?

Decidere i titoli degli album è sempre stato un grosso problema per noi, rispetto ai titoli delle canzoni, richiede sedute lunghissime. “Oh!”, lo abbiamo scelto partendo dalla copertina su cui c’è Alice nel paese delle meraviglie. Ci è piaciuto subito perché è un espressione, né una parola né una frase di senso compiuto, ed è ampiamente interpretabile e soggettiva. Noi amiamo che, sia nella musica che nei testi che scriviamo, dare degli spunti e lasciare all’ascoltatore di elaborare e assumere una versione propria.

Molteplici sono le citazioni nei testi di “Oh!”, dai film ai libri, fino ad arrivare alla poesia di Ungaretti, quanto influisce questo sulla vostra scrittura?

Influisce pesantemente, anche se, a livelli differenti, siamo tutti curiosi e affamati di storia, forse, io più di tutti. Per me è cercare di decifrare da dove veniamo per capire chi siamo. Leggere Ungaretti o Pirandello o anche Longanesi sono chiavi di lettura di un’epoca che non ho avuto modo di vedere e che però sono assolutamente indispensabili se vuoi capire la società che viviamo.

linea 77 intervista

OH! cover nuovo disco Linea 77

In questo disco ne avete da dire su tutti e ne avete su tutti, dai bamboccioni antiamericani a quella lunga lista che citate ne “L’involuzione della specie”…

Cerchiamo sempre di non lasciare trasparire certi giudizi, anche se in certi casi è proprio implicito e inevitabile che il nostro atteggiamento sia contrario e negativo a questo tipo di personaggi e situazioni. Raccontiamo ciò che i nostri occhi vedono, purtroppo, per noi e per tutti, il quadro non è incoraggiante, non è che siamo dediti al pessimismo cosmico leopardiano, anzi, prendiamo in giro un po’ tutto e tutti, siamo veramente dei goliardi, però indiscutibilmente dalla nostra prospettiva, la situazione non è incoraggiante.

“Luce” dove appunto citate Ungaretti, è un testo molto poetico seppure molto dark, riuscite a mettere insieme anche un contrasto come hardcore e poesia?

Lo facciamo da sempre, un po’ per sfatare lo stereotipo che vuole che, chi ascolta musica punk, metal, “dura”, sia un energumeno, tatuato e privo dei congiuntivi. In realtà, siamo tutte e due le cose, ma si tratta sempre di luoghi comuni. Da sempre, nei nostri testi, inseriamo delle variabili più letterarie, ma non per fare sfoggio dei condizionali o dei sinonimi, perché nella vita usiamo un linguaggio articolato, siamo esseri coscienti al di là del punk e dell’hardcore. Anzi l’hardcore è uno degli aspetti della nostra vita, ma le figure individuali sono molte più complesse.

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I Linea 77 – Foto di Thilini Gamalath

Una bellissima citazione in “Luce” di Ungaretti, Soldati…

Eravamo parecchio timorosi nel citare Ungaretti, abbiamo rispetto per questi giganti e bisogna approcciarsi, alla eventuale manipolazione, con molta coscienza. I versi inseriti in “Luce” sono uno dei migliori ritratti mai fatti con delle parole, che se dovessimo argomentarla servirebbero delle pagine. L’apice del lavoro di Ungaretti è riuscire a compensare, in poche parole, un’immagine diversamente indescrivibile.

Con questo disco avete detto che siete ritornati ai vostri inizi musicali, come mai questa scelta?

Riallacciandomi al discorso dell’identità e del prendere coscienza di chi sei, ci siamo detti: abbiamo fatto otto album, dischi negli Stati Uniti, tournèe in Europa, abbiamo esplorato veramente tutto quello che potevamo, e, abbiamo sempre avuto un approccio innovativo, ma frustrante, perché, in passato, ci trovavamo spesso a dover decidere, se scegliere quello che ci piaceva o quello che suonava più nuovo. Le nostre scelte sono state molto condizionate da questo tipo di approccio, mentre per la scrittura di questo album, abbiamo messo da parte, da subito, ogni velleità nella sperimentazione. C’interessava fare delle canzoni che ci piacessero da ascoltare e, soprattutto, da suonare, perché siamo una live band. La nostra dimensione ideale è quella del palcoscenico, e quando ti approcci con eccessiva enfasi sperimentatrice, finisci anche con il creare delle cose che, dal vivo, fai anche fatica a riprodurre, che per altro non soddisfano nemmeno. Per quest’album, non abbiamo fatto di certo i tre accordi dei Ramones, però abbiamo costruito dei brani che partivano da un approccio live.

In “Caos” dite: L’ora è ora è questa la tua ora. È un riscatto di coscienza o cosa?

Si presta a un’interpretazione bipolare, cioè, questa è la tua ora, che viene detta a un condannato e, quindi, sei alla fine del viaggio. Oppure, quella che tutti noi preferiamo, è quella del riscatto, cioè va bene tutto, va bene lamentarsi, che tutto fa mediamente schifo, però, se cominci a cambiare tu, forse, gli altri ti seguono e staremo tutti un po’ meglio.

Ci sono delle collaborazioni interessanti in questo disco. Come sono nate?

Il nostro principio è collaborare con chi ne apprezziamo il lavoro artistico. In questo album, ci sono due principali tronconi, uno, la collaborazione con En?gma, un tentativo di interazione fra il rock duro e l’hip hop, visto che siamo onnivori dal punto di vista musicale, ascoltiamo di tutto da anni. Eravamo grandi fan del primo hip hop italiano anni ‘90, siamo cresciuti con i Sangue Misto, i Colle der Fomento e i Kaos One. L’altro troncone, invece, è quello della scena torinese, con la collaborazione con Sabino, il cantante dei Titor. Un gruppo di amici fraterni con i quali abbiamo suonato spesso, e, Sabino era il cantante della band Belli Cosi, e, noi aprivamo i loro concerti nel ’94. Eravamo dei grandissimi fan di questa band, un rapporto che negli anni si è mantenuto solido, diventando sempre più amici. Collaborare con Sabino è stata una conseguenza naturale, e, molto desiderato da parte nostra.

L’altra parte torinese è la collaborazione con Franz Goria dei Fluxus, facendo una loro cover, Non esistere. I Fluxus erano un punto d’arrivo per noi quando abbiamo cominciato a suonare. Andavamo ai loro concerti, e restavamo con le mascelle spalancate. Si è presentata tempo fa l’occasione di partecipare a una compilation, dove tutte le band facevano una cover di un loro brano, noi non ce l’abbiamo fatta. perché in quel periodo abbiamo avuto la sventura degli hard disk bruciati. Abbiamo deciso comunque di salvare quest’ idea e di metterla nel nostro album.

La scelta della cover “Non esistere” è stata casuale o cosa?

È stato Franz Goria a suggerircela, personalmente, avrei fatto anche altri brani, da fan ognuno ha dei propri brani preferiti. Però ora che la stiamo provando per il tour, devo dire che è uno dei pezzi più divertenti che mi sia mai capitato di suonare.

“Presentat-Arm” è accompagnata da un video non ufficiale, dove avete scherzato con un quiz. Qualcuno è riuscito a vincere?

C’è un vincitore che abbiamo annunciato in questi giorni, in realtà, ce ne sono stati altri, ma abbiamo premiato come promesso soltanto il primo.
Eravamo stufi dei videoclip, ne abbiamo fatti tanti e tutti essenzialmente abbastanza uguali, può esserci una storia, ci siamo noi che suoniamo in playback. Aveva senso quando la televisione era il primo e l’unico media di divulgazione musicale, oltre alle radio ovviamente. Ora ai tempi di youtube, vimeo e di tutte le altre piattaforme è anacronistico e molto autoreferenziale farli, e costano. Le nostre facce ormai le conoscono, non c’è bisogno che facciamo finta di suonare chitarre senza il jack attaccato, e abbiamo deciso di fare qualcosa per coinvolgere le persone, e così abbiamo introdotto un gioco che facevamo da anni in tour. Nei nostri viaggi lunghissimi in furgone, per ammazzare il tempo, giocavamo tipo, gruppi con la lettera C, e ognuno partiva e c’erano battaglie epiche. Poi con whatsapp abbiamo creato il gruppo, Linea 77 tour, e abbiamo iniziato con gli emoticon, molti dei quali sono finiti nel video.

Avete già scelto il prossimo singolo?

Sarà Absente reo, che preferiamo tutti suonare, e gireremo il video fra qualche giorno, e, sarà abbastanza sperimentale. Richiama abbastanza il testo, la frase più efficace è quella del ritornello, che dice: “passiamo il tempo libero a spiare il tempo libero degli altri sopra schermi piatti”. E nel video ci sarà il punto di vista di uno che utilizza un pc, di più non posso dire.

“Absente Reo” è un vostro brano vecchio?

Esisteva solo in versione strumentale e faceva parte dei brani che avevamo scritto per Horror Vacui nel 2008, poi non incluso nel disco. Registrato live a Los Angeles in uno studio, prima di fare l’album, e poi quando siamo entrati nell’altro studio, sempre a Los Angeles, lo abbiamo scartato. Un giorno poi scartabellando tra i vari hard disk ci è capitato di nuovo tra le mani e ne siamo rimasti folgorati.

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Presto sarete in tour, state pensando a delle spettacolarità per il pubblico?

Anche questo è stato oggetto di dibattito, ci sono due scuole di pensiero, quella degli effetti speciali e creare un bellissimo spettacolo, e, l’altra, che al momento prevale, che dice, prendi coscienza di chi sei, noi siamo un fottuto gruppo hardcore, inutile che ci mettiamo costumi da ballerine e i raggi laser. Il nostro concerto è un concerto intenso, bisogna sudare, muoversi e qualcuno sanguina anche. Penso che, alla fine, non ci saranno effetti speciali, ma noi “sei” sul palco a fare quello che sappiamo fare, musica.

Nicola Garofano per Magazinet.

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