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Universal, 10 t.
Ci sono giorni in cui, tra i banchi del supermercato o sulla strada verso il lavoro, mi pongo alcune domande di carattere piuttosto urgente. Come ad esempio: qualcuno avrà detto ad Andrew Stockdale che gli anni ’60 sono belli che passati? Fortuna che le risposte non devo darmele da solo come i malcapitati ospiti di Marzullo. Mi basta far girare sul piatto il nuovo Victorious dei Wolfmother per capire che no, da certi giri non si esce né vivi né morti.
Anche perché se la formula funziona, e funziona bene, allora meglio non cambiarla. E non è un caso che, nonostante i cambi di formazione e di etichetta, dai 2.56 minuti di Woman (che per molti italiani era sinonimo di Guitar Hero) a oggi la formazione australiana proprio non vuole saperne di allontanarsi da Woodstock. Victorious, che è anche il nome di una delle traccia più riuscite del disco, è un disco fuori dal tempo ma anche estremamente contemporaneo: lo sguardo al passato è inevitabile, con qualche fugace sentore di Iron Maiden e Black Sabbath a rendere il tutto un po’ più heavy del solito. Ma allo stesso tempo la voce di Stockdale riesce a saltare senza problemi da una decade all’altra, compreso qualche pezzo acustico a là Lumineers/Fun (ebbene sì) che non avrebbe difficoltà a conquistare gli ascoltatori più distratti di questi disastrosi anni duemiladieci.
Se siete dei nostalgici (e no, non parliamo di treni che arrivano in orario e altre amenità), Victorious saprà darvi una pacca sulle spalle e traghettarvi verso tempi migliori. Se invece siete degli iconoclasti, Victorious farà del suo meglio per farvi cambiare idea sui bei-tempi-che-furono. Se invece proprio il rock non vi interessa, rivolgetevi a uno psichiatra di quelli bravi.
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