Il celebre rapper campano Clementino parteciperà per la seconda volta al Festival di Sanremo, con il brano, Ragazzi fuori, dopo il successo avuto lo scorso anno con “Quando sono lontano”, piazzandosi al settimo posto. Clementino, anche conosciuto con il suo alter ego Iena White, è uno degli artisti italiani più amati perché le sue canzoni sono un riflesso dell’ambiente in cui ha vissuto, che vede e ha dovuto sopportare, ma è anche più di questo, lui è un grande comunicatore, un traduttore della sua generazione e un narratore di storie vere. Clementino sì è anche raccontato nel suo libro “La profezia di Clementino – Quel che ho sognato tra sud e rap (2015)“,attraverso interessanti aneddoti della sua vita privata e artistica.
Abbiamo incontrato Clementino durante la sua premiazione al Capri Hollywood 2016 ricevendo il Capri Kids Global Icon Music Award.
Seconda volta al Festival di Sanremo. Ti avvicinerai con le stesse emozioni del primo o sei più sicuro? E che danni farai?
Danni non lo so. Credo che Sanremo non sia una sfida, cioè, andare al Festival, pensando di fare il terzo o il quarto posto, se uno parte con quest’idea non se ne uscirà più. Credo che la migliore soluzione sia per andare solo per promuovere la propria musica e il proprio album e fare tutto con divertimento, considerando che è un grosso calderone dove si fanno interviste ai giornali, alle tv e radio. L’anno scorso mi sono divertito tantissimo, senza pensare la posizione in classifica. Ho interpretato Don Raffaè e mi sono divertito tanto e ho tirato fuori un bel pezzo, Quando sono lontano.
Cosa succederà allora quest’anno?
Quest’anno mi presento con un pezzo autobiografico che si chiama “Ragazzi fuori”. Ovviamente anch’io sono stato un ragazzo fuori, girando discoteche, facendo tardi la mattina, etc., parlo delle nuove generazioni. Dedicato, anche, alle persone che sono a fianco a chi soffre, dagli operatori nei centri di riabilitazione per la droga fino a chi sta a fianco dei carcerati. Un brano che parla del sociale, un posto dove ci sguazzo tanto perché mi piace. Vado a nozze quando parlo del sociale e dei ragazzi che hanno problemi, mi piace raccontare le loro storie.
Con Don Raffaè hai vinto alla stragrande. Ultimamente hai ricevuto il Premio per la reinterpretazione dell’opera di Fabrizio conferitoti dalla Fondazione Fabrizio De Andrè…
Al Festival ho stravinto moralmente, praticamente ho fatto il terzo posto e con il pezzo inedito, il settimo posto. Considerando che il mio numero fortunato è il Ventuno, ho fatto il terzo posto con la cover e il settimo con l’inedito, quindi Tre per Sette: Ventuno, e, la profezia di Clementino si è avverata.
Ti aspettavi che Don Raffaè venisse accolta con questo clamore? Come ti sei avvicinato a questo pezzo “sacro”?
Non me l’aspettavo assolutamente. È un brano che conosco da sempre, perché i miei genitori mi facevano ascoltare molto De Andrè e ho visto il genio di De Andrè che ha creato questo collegamento Stato/Mafia. La canzone Don Raffaè parla, comunque, di un boss delle mie parti, del “professore di vesuviano”, e, mi faceva piacere portare sul palco di Sanremo questo testo.
Hai già pronto l’album? C’è qualche messaggio in particolare che potresti anticipare?
Sicuramente saranno meno tracce, l’anno scorso era un doppio album di venti tracce a disco, in totale erano quaranta canzoni ed ho affrontato di tutto. Adesso preferisco fare meno tracce, però tutte bombe belle mirate. Ci sarà molto intrattenimento e qualche pezzo parla, naturalmente, di problemi sociali.
Ci sarà qualche collaborazione, in questo album, che puoi anticiparci?
Spero di sì!
Parli del sociale, cosa pensi personalmente dell’omosessualità, visto che i rapper fanno delle rimostranze…
Sono pienamente d’accordo alle Unioni Civili, ed è banale dire che ognuno deve fare quello che vuole e può pensare come vuole.
Per le rimostranze, non è vero, forse quelli sono dei fraintendimenti che si creano. Il rap, specialmente in Italia, viene anche dai centri sociali dove si abbracciano tutti i tipi di unioni. Io studiavo teatro all’Università Popolare dello Spettacolo di Materdei, un quartiere di Napoli, e, avevo un paio di amici gay con i quali ho fatto degli spettacoli insieme e che mi hanno anche dato una mano ad imparare degli sketch.
Parliamo dei talent e dei reality che i rapper non digeriscono molto…
Ho partecipato alla terza edizione di Pechino Express e mi sono divertito moltissimo. Credo sia un reality intelligente, perché non c’è la giuria o il televoto da casa, quindi è un programma veramente naturale e genuino che ti aiuta a scoprire luoghi, costumi e folklore di altre nazioni, ed è questo che amo di più. I talent musicali, invece, sono diversi e bisogna andarci con la testa giusta. Di certo è sbagliato dire che non è giusto fare i talent, perché escono anche artisti bravi, io apprezzo molto Sergio Sylvestre, che ha vinto l’ultima edizione di Amici o i the Kolors e, anche, la stessa Emma Marrone che è molto brava. Molte volte i talent riescono a tirare fuori dei veri e propri cantanti e delle volte bisogna stare al giudizio della pubblicità della gente e di questo mondo e, ovviamente, io lì ragiono da rapper e dico: Bocciato!
Quando hai capito che stavi avendo successo?
Quando al San Paolo di Napoli hanno messo ‘O Vient, la mia canzone e così ho capito che stavo diventando qualcuno, prima a Napoli e poi fuori dall’Italia. Quando sono andato a Manhattan a suonare il 21 settembre di due anni fa, c’erano calabresi, siciliani, napoletani, pugliesi, tutti ragazzi che si sono spostati a New York alla ricerca di fortuna, e, quando ho visto che ho riempito il locale con tutti gli italiani che erano lì, il mio cuore si è fatto gigantesco. Mi sono detto sono famoso pure qui, almeno con gli italiani.
Una cosa strana… ho letto che ti piace fare teatro?
Il teatro mi piace, vengo da una famiglia di attori, i miei genitori recitano da trent’anni a livello amatoriale e hanno fatto sempre De Filippo, Scarpetta e, quindi, sono nato dietro le quinte dei teatri. Un giorno mi piacerebbe portare uno spettacolo rap teatrale, vedremo.
Intervista a cura di Nicola Garofano
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