“Parlami, lusingami, poi gettami via, senza spiegazione. È così, che si fa, è così che si fa”.
Tic, toc, tic, toc. Sentire una sveglia la cui funzione consiste nel rialzare il morale, mentre quello che scorre è un pomeriggio inusuale, di quelli caratterizzati dalla metamorfosi di un cielo avente il colore dell’acqua del mare in uno spettacolo di masse grigiastre che riescono a mantenere la loro forma originaria di nuvola, mentre tale colore si è riversato proprio sul cielo stesso, dandogli un tono più triste, più cupo, più terso. Questo fino a quando la pioggia non ha fatto il suo corso, magari anche accompagnata da lampi ed implacabili tuoni.
Ne consegue il risveglio. E una manifestazione di questo tipo rappresenta la possibilità di intravedere qualcosa di diverso, nello scorrere delle ore che rimangono di questo giorno. Questo Sandra Ippoliti, reduce dall’Amara terra mia riletta in compagnia di Umberto Palazzo e il suo Santo Niente poco dopo il terremoto in Abruzzo, lo sa bene. Quale scelta migliore quindi, per ammazzare il tempo, se non quella di uscire finalmente fuori con in braccio la propria fidata chitarra, ed intonare un blues in preda alla propria indomabile perdizione in quel della zona in cui si risiede?
Che poi quello che ne risulta è più di un semplice blues, anzi, di un “Le blues“. È una descrizione della propria condizione nel rapporto con il prossimo (Pop) e con se stessi (Personalità), un ritrovato bisogno di compagnia, che possa ammazzare la solitudine (Questo minuto), quella stessa solitudine che fino a poco fa si è cercata dopo un’apparente euforia (Attesa di te). Una compagnia riscontrabile non solo nella sua forma fisica, ma anche nel rapporto con il proprio strumento musicale, in quell’attività che consiste nel “Suonare“, e magari anche del creare “Frastuono“, come alternativa a quell’altro frastuono, quello che alberga nell’anima quando non si sente a suo agio.
Tutto ciò è stato trasmesso in otto canzoni, delle quali solo una (Il lavoro) è l’equivalente di uno scivolone su una buccia di banana nel corso del proprio tragitto. Per il resto il risultato dimostra quanto non sia stato vano il mettersi di buona lena a suonare la chitarra poco dopo l’apparizione di quel cielo che da lassù appariva più sorridente. Soprattutto se i raggi del sole mantengono la stessa intensità di prima.
“Cammino, rasento la follia, non so più dove andare…“
Del resto, se non fosse stato così, la tristezza avrebbe bucato l’anima come non mai. Ma i fatti hanno dimostrato tutt’altro, con un esordio più che egregio.
E il ritorno a casa si porta con sé quelle soddisfazioni guadagnate precedentemente.
Gustavo Tagliaferri per Mag-Music
[adsense]
0 comments