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Ci sono dei regali che arrivano inaspettati, come una sera d’autunno un disco nella cassetta delle lettere. Copertina candida, un lenzuolo bianco a coprire un corpo poggiato ad un muro dalle tonalità lattiginose. L’unica nota di colore è una mano che sbuca penzoloni da sotto il panno e, in rosso, “I had a heart that loved you so much Emily Plays”.
Inevitabilmente l’occhio capta due riferimenti: il primo nel titolo dell’album, traduzione del nome di una celebre canzone italiana degli ultimi anni sessanta (molto bella, per altro) e il secondo nella Emily che dà il nome alla band e sembra la Emily cantata da Syd Barret sempre sul finire dei sixties. Ecco, il disco suona più o meno così: come se il caratteristico cantautorato italiano fosse stata stravolto/tradotto e immerso nelle atmosfere rock di una certa tradizione britannica.
I testi, impregnati di una fragilità fuori dal comune, nascono per mano della cantante, Sara Poma, e si muovono dentro arrangiamenti ben costruiti e articolati, nonostante la voce molto particolare della Poma risulti al massimo dello splendore nei momenti più scarni ma più intimi (bellissimi, in questo senso, i primi minuti di On and on e le atmosfere rarefatte di Sightseeing train).
Complessivamente l’album, composto di dieci tracce, risulta un ascolto bello ed equilibrato anche nella scelta di successione dei pezzi: si apre, infatti, con l’energica Hands that don’t catch e si chiude con una versione evanescente e tormentata di Lost property dell’irlandese Neil Hannon (alias The Divine Comedy). Nonostante si tratti di un disco debutto, insomma, “I had a heart that loved you so much” si dimostra un lavoro piuttosto maturo, evidentemente supportato dall’ormai quasi decennale attività del gruppo pavese.
Annachiara Casimo per Mag-Music
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