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Il grindcore è come un campione tutto genio e sregolatezza, o si ama o si odia. C’è chi lo apostrofa come scoordinata accozzaglia di rumori che scimmiotta il punk (che i loro defunti possano contorcersi nell’aldilà per codeste eresie), e c’è chi invece va letteralmente in brodo di giuggiole demoniache dinanzi a capolavori del calibro di “Helvet”e dei Nasum, “Reek of Putrefaction” dei Carcass, “Scum” dei Napalm Death (padri fondatori del genere) o “A Holocaust in Your Head” degli Extreme Noise Terror.
L’operetta poco morale che ho da recensirvi appartiene ad un altro mostro sacro del genere, i Terrorizer. Correva l’anno 1989 quando questi sobri giovincelli musicalmente nati nel pieno del movimento grind sgravarono (lessico crudo per un genere che dire crudo è dire poco) “World Downfall”, un bell’asteroide ululante che ha “traviato” parecchi adolescenti, provetti headbangers. Pietra miliare grind/death negli anni a venire. Questa band nel suo primo album vide tra i componenti il compianto Jesse Pintado (futuro, all’epoca, membro dei Napalm Death), Pete Sandoval e David Vincent, che subito dopo registrarono l’album di debutto dei Morbid Angel, “Altars of Madness”. Gli impegni di ognuno con le diverse band segnarono la fine dell’esistenza dei Terrorizer. Difatti da allora tale marchio, è riuscito a sfornare un secondo album e cioè “Darker Days Ahead” solo a distanza di diciassette anni dal capolavoro di cui sopra, subito prima della morte di Pintado. Questo “Hordes of Zombies” rappresenta invece il terzo tassello nella loro sparuta carriera. Quattordici brani elegantemente parecchio simili tra di loro. Ok, che lo si ascolti volentieri nulla da eccepire, ok che almeno tecnicamente hanno timbrato il loro cartellino un pò grind un pò death metal (la seconda che hai detto) ma codesto rappresenta comunque un full-length che non fa di certo gridare al miracolo (ma manco all'”accattatevillo!”) e che di certo non ripercorre i fasti del loro primo seminale lavoro. Una mediocrità fatta dai soliti riff taglienti, bassi ruggenti (anche se in questo caso il basso viene parecchio sovrastato dalla batteria e dalle distorsioni della chitarra ritmica) e dai consueti blast beat triti e ritriti ad irrorare il tutto.
Le canzoni a livello di composizione armonica potevano migliorare di molto: sono monotone, monocorde. L’unica costante è la velocità a profusione, più cupa e meno crust punk, più votata all’ombra della bestia e della prima ondata death che fu, si pesta in maniera abbastanza imbufalita, bpm come se piovesse. Ci troviamo un gradino al di sotto rispetto al secondo album. Il cantato è di discreto livello, Anthony Rezhawk fa il suo dovere, anche Pete Sandoval, il cui ritorno ci fa riempire di gioia, ci mette del suo. Apprezzabile l’impegno di Katina Culture, ma con tutto il rispetto per siffatta ninfa borchiata, Jesse Pintado era Jesse Pintado (R.I.P.) e che ve lo dico a fare. Solite ambientazioni post-apocalittiche di desolazione, morte e distruzione. Proclama contro il sistema, songwriting inferiore rispetto al precedente album, pezzi che un attimo si discostano dal solito rombo di tuono grind perpetuato per quattordici brani. I pezzi più incisivi sono Evolving Era e Ignorance and Apathy. Un album del genere è sempre meglio di una bella deiezione deathcore su questo non c’è ovviamente ombra di dubbio, ma se avete intenzione di ascoltarvi i veri Terrorizer e del grind con i contro coleotteri ascoltatevi “World Downfall” in loop.
“Hordes of Zombies” ha tutte le caratteristiche di un album di una reunion, capacità dei singoli spinte al limite, per un vano e vacuo risultato collettivo fatto di pezzi tutti simili e che non dicono proprio nulla a chi li ascolta. Un prodotto sospinto dalla necessità di estinguere al più presto un mutuo a tasso variabile… nulla di più.
Giacomo Andrea Cramarossa per Mag-Music
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