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In questo numero: The Softone, Last Minute to Jaffna, es, Verily So, TwoMonkeys, News for Lulu, Quasiviri, Torakiki, Progetto Panico, Foxhound.
The Softone – Tears of Lava EP (Cabezon)
Le riuscitissime intenzioni di un disco come “Horizon Tales“, a metà tra sonorità d’autore, folk e country, con tanto di alcune parentesi di caratura maggiormente sperimentale, avevano già dato un’idea dell’innato talento che caratterizza un musicista come Giovanni Vicinanza, attivo dallo scorso decennio e da qualche anno entrato nella scuderia Cabezon. Sorprende, pertanto, un anno dopo la sua uscita, avere a che fare con un EP come questo “Tears of Lava“. In primis perché, a differenza di Ray of Light, unico momento riconducibile a quanto precedentemente proposto da Vicinanza, ad entrare principalmente in gioco è un accattivante southern-rock visto attraverso molteplici sfaccettature: dal crescendo di Walk Away alla preponderanza di riff violenti e vibrazioni elettriche memori di una città fantasma tanto passata quanto presente che anima Son of a Gun, con un occhio volto verso espedienti elettronici altrettanto funzionanti, come nel caso di Right or wrong. Non da meno il rafforzamento del lato blues della propria anima, quello di Somewhere over, fumosa, quasi assassina, con tanto di sassofono introduttivo vagamente jazzy, e l’accenno spiritual della breve e strumentale Untitled #1. Per essere un cambio di programma, quello di The Softone, non può che lasciar presagire tante prospettive per il suo futuro. Per ora le lacrime che fuoriescono non possono che essere tanto focose quanto rinvigorenti, come le sue canzoni. Gustavo Tagliaferri
Last Minute to Jaffna – Volume III (Bare Teeth)
Un concerto a supporto di Scott Kelly (Neurosis) è stato usato dai Last Minute to Jaffna come banco di prova per testare alcuni brani del loro repertorio in chiave acustica. Sì, avete capito bene: in chiave acustica. Con risultati molto interessanti. I torinesi sono una delle punte del (dopo)metal italiano, “Volume III” (il “II” arriverà a breve) ci mostra quanto la band, nel suo continuo cambio di pelle, risulti sempre interessante, mai banale. Cinque chapter, tre già editi nell’esordio (V, XI e VI da “Volume I”), due inediti (XIII e XXV, presumibilmente del prossimo lavoro “ufficiale”): i primi perfino migliori degli originali, i secondi molto interessanti; un pezzo come XIII è un piccolo gioiello di arrangiamento dal sapore Earth, con il flicorno di Stefano Casanova che disegna dettagli post-apocalittici, da deserto di “Fallout”. Viene da pensare che se il loro esordio fosse uscito così, si sarebbe gridato al capolavoro. Come gli Isis alle prese con MTV Unplugged. Atmosfera acustica sì, ma con nell’aria esalazioni di zolfo. Con queste aspettative non vediamo l’ora di ascoltare il secondo volume. Marco Gargiulo
es – Sottile è il cuore entusiasta EP (Dischi Soviet Studio)
L’amore. Che cos’è? Come lo si può affrontare? È possibile parlarne senza cadere nei soliti clichè? Interrogativi decisivi per un’avventura nuova come quella degli es, tale da far sì che il punto di vista discografico e quello musicale vadano di pari passo. Addio Fosbury Records, benvenuta Soviet Studio. La poliedricità di un disco come “Tutti contro tutti portiere volante” è stata il fanalino di coda di un periodo variopinto, in cui le proprie molteplici influenze hanno finito per dare vita a lavori rispettabilissimi. E così “Sottile è il cuore entusiasta”, primo di due EP annuali, nel giro di tre tracce inaugura un’interessante sfida, fatta di canzoni che non siano d’amore, ma che ruotino intorno ad esso, senza per questo abbandonare quella varietà di suoni di cui sopra. C’è il pop malinconico di Pomeriggi difettosi, dove le voci di Alessandro “ALes” Mattiuzzo e Tina risultano ancora più coinvolgenti una volta che l’arrangiamento si fa più tirato, ci sono le memorie di Amori censurati, imbevute di vibrazioni rock ed echi di certi Baustelle degli esordi, ma soprattutto il retrogusto francese di Terapia di malinconia, con tanto di atmosfere disco non tanto lontane dagli ultimi Perturbazione, brano che illustra con altrettanta chiarezza le intenzioni della band. Che, aspettando il secondo capitolo, per quanto siano più calme sono pur sempre quelle di ragazzi che sanno quello che stanno facendo, e non deludono. Gustavo Tagliaferri
Verily So – Islands (V4V/Waves for the Masses)
È un viaggio. Un bel viaggio in posti malinconici quanto magici. Vivi e respiri tante emozioni ma lo stato d’animo ha sempre un velo di tristezza. “Islands” è così, un viaggio di otto brani che inizia con To Be Hold, trasognante ma subito incalzata dalla batteria. Emergono da un disco interamente degno di nota Never Come Back, intensa e disperata, prossima ad aprirsi ad una conclusione quasi dance; Ode to the Night, il pezzo più movimentato, e la conclusiva Islands con il suo andamento portato avanti e pronto a esplodere con una bellissima chitarra. Certo, c’è il post-rock e tutto lo shoegaze che si vuole, ma il tocco in più è quel poco di folk che non ti aspetti e che non lasceresti più. Daniele Bertozzi
TwoMonkeys – Psychobabe (Kandinsky)
È possibile inquadrare l’evoluzione della specie in un’ottica differente da quella legata al mero campo dell’antropologia? Probabilmente sì, e un tentativo andrebbe fatto proprio con coloro di cui si è supposta più volte la discendenza: le scimmie. TwoMonkeys, giustappunto. L’universo che caratterizza i fratelli Bornati finisce per essere senza tempo, facendo da conciliazione tra passato e presente il cui ponte risulta riscontrabile nella produzione di un professionista dei giorni nostri quale il chitarrista Alessandro “Asso” Stefana (Guano Padano, Vinicio Capossela, Mike Patton). Con simili premesse, in un disco come “Psychobabe” di base viene alla luce tanto lo spirito post-punk, embrionale nell’interstellare MarshMallows e maturo nella frenesia di drum-machine di FuckFolk, quanto no wave, come nella cupezza di RefraiN, ma desta un certo fascino anche l’evoluzione delle influenze kraut, colme di sfumature rock in MoreSpace ed imbevute nel lounge in quella stessa Moon che anticipa un blues la cui ubicazione più consona è situata nei lamenti infantili di Cry; oppure il girotondo di Psycho, una SheKnows che coinvolge house, electro e tinte progressive, l’afro-dance onirica e ludica di CrazyDrive, il pesto hip-hop di MeloDrama, che coinvolge un flow faithlessiano e un refrain simil-gospel, se non addirittura il Bristol sound tanto caro a Massive Attack e Tricky, come nel caso di SacriFace, con tanto di refrain souleggiante e conclusiva jam daftpunkiana. Tutto, mai un elemento di troppo. Un coacervo di suoni che non finiscono mai per rincorrersi senza uno scopo preciso, anzi, che permettono al minestrone risultante di essere molto gustoso e ai TwoMonkeys di rivelarsi una realtà da non perdere affatto d’occhio. Gustavo Tagliaferri
News for Lulu – Circles (Urtovox)
È un lavoro onesto, sentito, realizzato dal profondo del cuore. Legato alle proprie influenze ma lontano dal “voglio/devo apparire come…”, “Circles” è un album semplicemente bello, dove ci puoi trovare un po’ di tutto: dai Fleetwood Mac a Paul Weller, passando per quel rock dalle atmosfere sognanti tipico degli anni ’70. Un disco che trasmette appieno la passione e il grande trasporto con cui sono nati, scritti e registrati i dodici brani del terzo disco della formazione pavese. Tra i migliori episodi sicuramente Spring Burns, capace di racchiudere nei suoi tre minuti tutta l’essenza della band. E se Rain regala un finale di piano intenso, pezzi come Oh No sono impreziositi da chitarre e basso alla Eagles. È difficile trovare nel panorama indipendente una band con un progetto tanto ambizioso quanto al di sopra delle mode come questa e “Circles” è pronto ad accompagnare l’ascoltatore in un viaggio verso un caldo tramonto estivo. Daniele Bertozzi
Quasiviri – Super Human (Bloody Sound Fucktory/Fallo/HysM?/Megaplomb/Morte/To Lose La Track/Wallace)
È possibile raggiungere la pace dei sensi servendosi di tecniche non esclusivamente riconducibili all’attività mentale? Evidentemente Chet Martino, già con i Ronin, deve avere le idee ben chiare, se sceglie di dare una risposta con l’ausilio di Roberto Rizzo (R.U.N.I.) e André Arraiz-Rivas. I Quasiviri, per l’appunto, come se, al loro suono, le sinapsi, nel loro frenetico movimento, arrivassero ad un punto tale da costituire l’equilibrio. Psicologia, più che filosofia, esercitata con una sinfonia di synth assassini e danzerecci e tale da culminare, dopo l’EP “Freak of Nature“, in “Super Human“, terza fatica in studio dei ragazzi. C’è lo space-rock, che pian piano emerge nell’apertura di Sound Is Now, aqccompagnato dagli accenni industrial che sconfinano in marce electro-math di The Perennial Pose, le divagazioni funk di Smudge Life o gli umori aggressivi di stampo garage di Seasons of Love. Ma, alla base di tutto, spicca una componente progressive rock che, rispetto a “Freak of Nature”, subisce un processo di sedimentazione che trova la sua conferma in composizioni come Thoughts Vs Feelings, che rimanda a certi King Crimson, oppure Gravidance, dei Genesis elettrificati prossimi ad autentiche galoppate, se non addirittura il filo conduttore che lega la strabordante psichedelia di These Wining Dogs e Final Prayer e il cervellotico mix tra la title track e la cadenzata, quasi funerea Sweet Deconstruction. Tutte tappe di un cammino, quello dei Quasiviri, dove la via seguita si intona più che bene al risultato generale, mai sottotono e destinato a dare dipendenza. Disco ineccepibile, superuomo compiuto. Gustavo Tagliaferri
Torakiki – Mondial Frigor (Autoproduzione)
Per una volta è meglio non usare le parole “indie” ed “elettro-wave” o altri sinonimi, perché oggi si va oltre. Siamo oltre i soliti clichè e le solite frasi fatte. L’esordio dei Torakiki si compone di tre tracce in bilico tra una sfrenata nottata passata a ballare e sorprendenti divagazioni sonore. L’inizio ha senza dubbio un’attitudine danzereccia, ma Dorothy non è solo cassa in quarti che picchia e bassi pompati, ha un qualcosa di epico sempre sul punto di esplodere ma che alla fine svanisce lasciando spazio al viaggio psichedelico di Tree Moon, dove spariscono i bassi e si abbassano i ritmi per un inverso di suoni e mondi infiniti. Il basso e i synth più acuti si mescolano insieme fondendo incidere e profondità. La conclusiva Pink Head ha sfumature orientaleggianti e finezze che ne fanno un pezzo di grande classe. Degno di nota il bridge nella parte centrale, un apparente sgretolamento prossimo ad una ripartenza che si porta avanti fino alla fine. Solo tre tracce, ma tali da racchiudere tutto quello che è il mondo del terzetto bolognese, un mondo sintetico e colorato in continua evoluzione pronto a proiettarsi ovunque. Daniele Bertozzi
Progetto Panico – Vivere stanca (Tirreno/Superdoggy)
Lo scazzo, la momentanea evasione dalla realtà, un apparente spegnimento di neuroni, un sentimento beffardo, situazioni tragicomiche. Spaccati di vita che
tanto hanno fatto quanto possono tutt’ora essere ideali punti cardine di un full length, e i tre ragazzi che compongono il Progetto Panico, con la produzione artistica di Karim Qqru (Zen Circus) e Mattia Cominotto (Meganoidi), non fanno eccezione. Alla base di “Vivere stanca“, loro seconda fatica in studio, vi è un punk-rock il cui impatto è immediato, sia quando si tratta di dare vita a brani di matrice emo che fungono da traino (E allora godi, Anni ’90) che nel momento in cui, tra i propri riferimenti, si passa dalle parti dei CCCP Fedeli alla linea (in primis la meta-citazione di Questione di quanti, con qualche lieve richiamo skiantosiano, ma anche la demenziale frenesia di Luigi), se non addirittura i Dead Kennedys (La mia amica). Si strizza l’occhio anche a melodie pop (la festaiola Assenza e limite), fino ad arrivare all’oscuro boogie’n roll che traccia la vita del proprio fido gatto, tale Frankie Monocchio, parte di un groove, da parte della sezione ritmica, che si rivela funzionante e dà ulteriore brio al risultato generale, come dimostrato anche dal recupero di Oh mamma, dal precedente “Maciste in paranoia“. Non sembra un caso il fatto che sia proprio il disincanto della title track, voce, chitarra e distorsioni lo-fi, a fungere da fanalino di coda. E altrettanto il fatto che un disco simile non sia mero oggetto di intrattenimento, ma anche di divertimento, pur nella sua brevità, e soprattutto non scada in certa banalità d’oggigiorno. Dei bravi ragazzi. Gustavo Tagliaferri
Foxhound – In Primavera (Autoproduzione)
L’indie-rock odierno, specialmente oltreoceano, ha un difetto da non poco conto: quello di risultare, dopo i primi due lavori della band di turno, prossimo a finire nel dimenticatoio, se non ci si munisce di idee tali da rendere la propria proposta un po’ più allettante. Fortunatamente da quelle parti come nello stivale esistono diversi casi in cui non manca affatto il coraggio di sperimentare, di dare luogo ad un suono diverso dal solito. Prendendo in ballo Torino, città da sempre fulcro di molte realtà passate e presenti, i quattro ragazzi che costituiscono il fulcro dei Foxhound finiscono per rappresentare un esempio lapalissiano. Un album come “In Primavera“, loro seconda opera in studio, testimonia come questi non si accontentino di stilemi basilari, prediligendo maggiormente fusioni e sinergie, e ipotetici accostamenti con gruppi quali Franz Ferdinand vengono smentiti con l’incedere di un brano come Out, mosso da linee di basso incalzanti e fatati arpeggi di chitarra. Delle danze che continuano con il singolo Erase Me, intriso di sonorità disco 70’s, o il rock-steady dubbeggiante, leggermente clashiano, di I Just Don’t Mind che trova il giusto equilibrio con I Don’t Want to Run Today, di stampo reggae, ma anche il pop di Summer Yeast e la destrutturata Stars (Anytime You Want To), vero e proprio momento alieno del disco, non sono da sottovalutare, fino al melting pot tanto pacato quanto lievemente collerico di My Life Is So Cool. Se a tutto ciò si aggiunge il breve ma intenso stacco per archi (in mano a Davide Rossi) di Gasulì il risultato è chiarissimo: quella dei Foxhound è una proposta le cui intenzioni risultato portate pientamente a fine, ed è destinata a durare molto più di quanto si pensi. Gustavo Tagliaferri
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