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Sono italiani, precisamente di Agropoli (Salerno), ma ad un attento esame di quella che è la loro musica sembrerebbe di no. Un gruppo italiano che canta in inglese, e la cui verve pare proprio quella di un progetto anglosassone. Enzo Moretto, Ilaria D’Angelis, Raffaele Benevento e Andrea Perillo (quest’ultimo subentrato da un po’ di anni al posto di Fabrizio Verta) ne hanno masticata di musica, senza ombra di dubbio, per essere il nucleo degli …A Toys Orchestra. Entrati in scena nel 2001 con il misconosciuto “Job”, hanno raggiunto una certa fama solo nel 2004, con “Cuckoo Boohoo” (in particolare con Peter Pan Syndrome, con tanto di premiazione del video, realizzato da Fabio Luongo), prodotto dalla Urtovox, e nel 2007, con “Technicolor Dreams”. Adesso è il turno di “Midnight Talks“, un disco, come da titolo, avente come filo conduttore la notte, e anch’esso uscito sotto la Urtovox. Un altro colpo andato a segno, nel loro caso, in un 2010 che ci sta regalando tante sorprese. Enzo Moretto per noi.
Come ci si sente nel sapere che la propria Orchestra Di Giocattoli ha raggiunto un certo successo, nel corso di più di dieci anni di attività?
Se potessi fare un balzo temporale e tornare a dieci anni fà e poi di nuovo ad oggi, probabilmente resterei esterrefatto da quante cose sono cambiate. Avvicinare i tempi farebbe risaltare le differenze, smorzando le sfumature che hanno richesto un numero cospicuo di anni. Senza essere retorico però posso tranquillamente affermare che la spinta propulsiva che ancora oggi dà abbrivio alla nostra esistenza è la stessa di allora. Vivo questa esperienza come un riflesso incondizionato, proprio come sbattere le palpebre. Al punto da perdere il vero significato del tempo che si rapporta ad essa. Ovvio che sono ben conscio e orgoglioso del percorso in divenire degli …A Toys Orchestra e ne sono anche ben felice, ma è una felicità ancora in via di sviluppo per essere percepita come appagamento. L’ambizione è la più grande benedizione di questa band.
“Midnight Talks”, già dalla copertina, è un disco dove viene tirato in ballo, implicitamente, il tema dell’amore, e non solo. Si può dire che sia un disco le cui atmosfere sono capaci di descrivere, in un certo senso, il rapporto tra due persone?
Certo, implicitamente o esplicitamente, l’amore è il tema portante di questo disco. Amore nelle sue infinite accezioni: quel sentimento che è sinonimo della vita stessa e che condiziona le nostre esistenze e ci rende ostaggi del nostro destino. Nel bene e nel male,perchè l’amore può essere gioia o dolore. Non si può guardare a questo sentimento unilateralmente. Pensare che possa essere applicabile solo alla sfera sentimentale tra uomo e donna è oltremodo limitativo. Cosa sono la passione, la gioia,la fede, la devozione se non sinonimi dello stesso “amore”? Ed anche l’odio, la sofferenza, la solitudine, la mancanza… null’altro che l’altra faccia di questo sentimento. Così difficile da descrivere che nei millenni in pochissimi sono riusciti senza scivolarvi nel banale. E’ per questo che ti dico che ho scelto di non percorrerne solo la “comoda” strada principale, ma piuttosto provare ad inerpicarmi in tutte le sue stradine laterali. Per evitare di impatanarmi nel luogo comune o in appiccicose e indigeste melensità.
In genere da cosa nascono le vostre canzoni?
Non esiste una formula per far nascere una canzone… almeno non nel mio caso. Non riesco a e dire “adesso scrivo una canzone triste… anzi no, allegra“. Devo per forza di cose affidarmi all’alchemico. Non sono il tipo che và in cerca della musa. E’ piuttosto una questione di ricettività. Quando l’ispirazione bussa alla mia porta devo fare in modo di farmi trovare preparato.
Ci sono gruppi cui vi sentite maggiormente affini? C’è chi ha accostato certe vostre canzoni ai Pavement, chi ai dEUS, chi addirittura a certi Smashing Pumpkins…
E anche ai Beatles, ai Pink Floyd, a David Bowie, ai Kinks… addirittura ai Queen. Beh… credo ci sia andata di culo. Pensa se ci avessero accostato a Pupo.
Che cosa ne pensate della scena italiana in generale? È possibile che un giorno torni quella che negli anni ’80 e non solo si chiamava “qualità di massa”, viste certe cose che girano al giorno d’oggi?
Non me la sento di fare per forza una critica all’attuale musica italiana: è soltanto lo specchio dell’epoca che stiamo vivendo. Se non c’è un collante è perchè viviamo un periodo storico di transizione, dove tutto sta cambiando in fretta, dalla fruizione alle modalità di creazione e realizzazione. I cicli vitali e quelli creativi hanno subito dei mutamenti scioccanti in un lasso brevissimo. Tutto si è velocizzato drasticamente e all’improvviso il mondo è diventato piccolissimo. C’è ancora un forte spaesamento dovuto a questi cambiamenti. Ma questo accade a livello globale. L’Italia secondo me,invece, latita di una vera scena con i presupposti aggregativi e gli intenti collettivi peculiari del caso.Ma è anche vero che il nostro territorio si sta finalmente approcciando ad una cultura dal respiro molto più ampio ed internazionale, e proprio a causa di questo rivoluzionamento. Quello che purtroppo è evidente nel nostro paese, è la poca propensione da parte di chi ha il coltello dal lato del manico a dare forza a questo tipo di “internazionalità”. C’è ancora troppa paura, vige ancora il motto “chi lascia la strada vecchia per la nuova…“. C’è un imbarazzo di fondo a proporsi come “europei” nonstante la duplice appartenenza. Di contro invece,paradossalmente, i prodotti autoctoni cercano un ibrido, che per restare in tema di proverbi, danno “un colpo alla botte e un colpo al cerchio“. Dopotutto oggi, come in passato, ci sono proposte di gran qualità ed altre nettamente inferiori. In realtà, dipende appunto dal cambiamento di cui parlavo pocanzi. Ai nostri giorni tutti possono fare un disco,e bene o male tutti usano gli stessi mezzi di propagazione. La vera forza della vera musica odierna parte infatti dal basso, proprio da quel mondo indipendente di cui tanto si parla, e che in Italia ci si ostina in modo nostalgico a proporre come “scena”, quando è più semplicemente additabile come “realtà”. Ed è in questa realtà, ancora troppo mal supportata dai “potenti”, che la nostra musica trova la propria gloria e la propria croce.
Ritenete che il progetto “Il paese è reale”, al quale avete preso parte, abbia contribuito al tentativo di riportare in auge la “qualità di massa”?
Ecco, a mio avviso quello è stato l’unico vero sintomo da “Scena Italiana”. In quel progetto c’era infatti un vero messaggio collettivo. Gli Afterhours, ancora caldi di Sanremo, e proprio sulla scia di quella visibilità, hanno voluto mostrare all’Italia musical/qualunquista che nel “sottosuolo” vive una comunità fatta di bands, discografici, medias, di locali e di concerti. Ma soprattutto di una grossa fetta di pubblico che ormai non si può più definire “di nicchia”. Era un modo per far capire al “paese reale” che non solo quello che si vede in TV è per l’appunto “reale”. Un tentativo di contrapposizione al dictat-mainstream e al plagio mediatico operato dalla pubblicità e dalla televisione. Purtroppo, ad oggi, rimane un episiodio isolato.
Forse non tutti sanno che il vostro primo disco non è “Cuckoo Boohoo”, bensì “Job”, uscito sotto la Fridge nel 2001. Vi è mai venuta in mente l’idea di ristamparlo, un giorno, magari proprio con l’Urtovox?
Beh, sì. Lo rifaremo sicuramente. Fosse solo per il fatto che io stesso non ce l’ho.
Dal lato musicale, c’è qualcosa che non avete ancora fatto, ma che vi piacerebbe prima o poi fare?
Ci sono tantissime cose che vorremmo ancora fare… Una sola vita non basterà, speriamo nella reincarnazione.
Per la copertina di “Technicolor Dreams” vi siete affidati alla matita del vostro concittadino Roberto Amoroso. E’ prevista in futuro un’altra collaborazione con lui? C’è da dire che i suoi disegni hanno dato un tocco in più a quel disco, come anche a “Ghostwriters” dei 24 Grana…
Roberto è un grande artista, e siamo ben felici di constatare il suo crescente successo. Se lo merita davvero. Ci sentiamo spesso. Anche per la copertina di ” Midnight Talks”, anche se da esterno, ha in un certo senso dato il suo apporto. Adesso le sue opere vengono esposte nelle gallerie di tutta l’Europa. Una gran soddisfazione, per noi, per lui, e anche per tutto il mondo dell’arte italiana. Non so se torneremo a collaborare, così come non so tante altre cose del mio/nostro futuro. Penso che lo stesso valga anche per lui, quindi mi affido ad un comodo “chissà?”.
Gustavo Tagliaferri
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