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Capita, alle volte, di mettere il piede nel posto sbagliato; e senza nemmeno avere grandi colpe in termini di prestazione, bensì in termini di audacia e di (non) saper cogliere la palla al balzo. Perché funziona così, basta soltanto allontanarsi leggermente dalla retta via, per non ritrovarsi più. È un po’ il caso degli altoatesini Sense of Akasha, degli ultimi Sense of Akasha. “People do not know who rules”, poche parole, era un piccolo grande gioiello, per non dire un capolavoro, messo a confronto con la stragrande maggioranza delle altre uscite italiane. Aveva qualcosa in dono che lo faceva suonare nuovo e stupefacente; un fattore che, in termini tecnici, legava il post-rock all’indietronic con un’attitudine nordica e occidentale al tempo stesso. Ecco, questo fattore che rendeva il tutto più pop (in alcuni momenti si era addirittura dalle parti dei Broken Social Scene) non c’è più, è quasi totalmente svanito nel nulla. E pure, era palese per tutti che quello fosse il vero valore aggiunto della band.
Ora, mi scuso se appaio prosaico e scortese nella forma, ma “Splendid Isolation” era uno dei titoli più attesi dell’anno per il sottoscritto e, a conti fatti, di questo non rimane che una sufficienza soltanto sfiorata. La prima traccia Ingredients for Total Chaos spiega già dal titolo come stanno le cose: un incedere di chitarra (si tratta di distorsioni potenti) accompagnato da archi maestosi atto a creare una tempesta vorticosa da cui si deduce un appiglio più propriamente rock, immerso in un quadro di post-rock già passato e trapassato. Ne è fiduciosa dimostrazione un brano come Uneasy Dream, solo lontanamente paragonabile a quanto fatto dai Giardini di Mirò, anche e soprattutto in termini di efficienza. O la title-track, lunga e noiosa nella sua costruzione. Soltanto un buon esercizio di stile. Ringraziamo, invece, la presenza di Wounded Fools, ben impostata nel passare dalla malinconia iniziale all’epicità conclusiva; o il cantato di The Real Unreal e di Happy Melancholic, che trasforma una bordata di suoni in una canzoncina à là Múm prima, e in un finale orchestrale e chitarristico poi.
Insomma, per i meno esigenti, “Splendid Isolation” sarà anche un buon lavoro dotato della qualità e della sapienza che comunque contraddistinguono la band; ma per chi, come me, guarda anche al succo e all’aspetto “primordiale” del fare musica e del creare emozioni non rimane altro che un poco utile esercizio di stile ben suonato e ben prodotto.
Davide Ingrosso per Mag-Music
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