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Qualcuno fermi per favore la Garrincha Dischi! Dalla metà del 2011, precisamente dalla (doppia) formidabile compilation “Cantanovanta”, l’etichetta bolognese non sta sbagliando un colpo. Tante gradite nuove uscite come LE-LI, 33 ore, ManzOni, L’Orso… chiude l’anno in bellezza, e ne inizia un altro nel medesimo modo: il “Calendisco”, Lo Stato Sociale e i The Walrus, protagonisti di queste righe.
Avevamo lasciato il quintetto livornese alle prese con una riuscita reinterpretazione di Mare, mare di Luca Carboni, uscita proprio per la compilation sopracitata. Il loro (per certi versi) primo pezzo in lingua madre. Eccoci ora a parlare del loro secondo album, che arriva a ben quattro anni dal precedente “Never Leave Behind Feeling Always Like a Child”.
“Hanno ucciso un robot” è un disco positivo, fresco e che sprizza aria di pop intelligente da tutti i porri. L’inglese ci fa ciao ciao con la mano, qui si regalano emozioni in italiano.
La forza delle canzoni dei The Walrus sta tutta nella semplicità delle parole, in quei testi dall’efficace taglio naif, che vanno a legarsi perfettamente con le coinvolgenti trame sonore a volte malinconiche (Ma Hollywood non imparerà mai, Shirley Temple, Sogno), a volte allegre e spensierate (Lento erotico), con azzeccati inserimenti di tastiere che vanno ad arricchire il tessuto sonoro. In Macchina volante e Signorina delirio emergono i Baustelle più scanzonati, ovvero quelli che raccontavano delle vacanze dell’ottantatré, e gli Scisma nella loro fase più trasognata (quella di “Armstrong”).
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Non saprei. Dopo l’ascolto di “Hanno ucciso un robot”, l’unico punto di domanda è: ma gli androidi sognano canzoni d’amore?
Marco “C’est Disco” Gargiulo per Mag-Music
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