The Wounded Kings – In the Chapel of the Black Hand

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Ce l’avevo un numero di Rumore di qualche tempo fa – credo – in cui si parlava della band in questione, ma chissà chi me l’ha inculato. Sì, perché io sono uno di quelli che Rumore lo compra quasi ogni mese con la fedele devozione e dedizione che pure non meriterei di mostrare nei confronti di una redazione di trendsetter verso i quali la musica del Diablo dovrebbe impedirmi ogni contatto. Ma già che ci sono, vuoto il sacco: quella rivista la compro solo per Pecorari, Ruggeri e pochissimi altri.

Non è male questo nuovo disco, affatto, solo che se avessi avuto quel pezzo sotto mano, giusto per ritornare alla rivista, avrei quasi fedelmente ricalcato la recensione solo per riportare con giudizio più preciso e di maniera – ok, forse solo un po’ meno sincero – il comune sentimento che monta pezzo dopo pezzo. E invece sono un po’ costretto ad ammettere non solo la mia ignoranza in materia (chi cazzo sono ‘sti re feriti? Il gruppo doom di Homer?) ma anche la mia quasi totale estraneità a questa variante di doom da chiesa sconsacrata e da suore maiale. Leggo in giro per il web che la band ha rimesso in sesto circa metà della line-up provvedendo puntualmente a un discreto restyling del proprio sound soprattutto mediante posizionamento al microfono di una “cantantessa” in luogo del precedente cantante. Ah, che poi sul web la band è pure osannata come non mai.

I pezzi sono sconquassanti. Si ha a che fare con un doom dilatato all’inverosimile, caratterizzato però non da un’accentuazione della cifra stilistica più metallicamente estrema (insomma: i ronzii, i piatti che ti schiattano la conca auricolare, le scimmie post-acido, eccetera) quanto di quella più ieratica, severamente occulta e dannatamente iniziatica del doom stesso. Manca la più classica delle derive doom, manca cioè la pesantezza del groove che ti prende alla gola e ti schianta al solo mentre tenti di fare headbanging. Manca il tiro più hard stoner di band piene di droga e velleità sataniche come gli Electric Wizard. Al posto di quelle cose qui c’è una tizia che canta usando una sola nota di tutto il malefico arco tonale del demonio. Una manciata di brani adattissimi a iniziare Mario Monti al grande Oriente massone o a fingere che un qualche satanasso di passaggio possa propiziare il vostro desiderio di cupio dissolvi solo perché vi hanno dato diciotto in filologia romanza.

Che poi, perché mai dovrei desiderare un tale annientamento psicofisico se di base ascolto i derivati di Napalm Death e Brutal Truth? La risposta sta nel sortilegio stesso del doom, cioè quella roba che ti fa credere sul serio che Witchcraft, Pentagram e chissà chi altro ci siano più che farci. Non lo puoi capire se ti sei formato con i Minor Threat. Neanche se sei cresciuto con i Discharge. Magari con “Melissa” dei Mercyful Fate le cose cambiano ma devi proprio esserne convinto.

Io no. Io continuo a credere che ‘sto sortilegio del doom non riuscirò mai a capirlo fino in fondo nonostante i miei bei quintali di dischi alle spalle.

E a dirla tutta, manco ‘sto disco.

Nunzio Lamonaca per Mag-Music

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Blogger professionista e da sempre appassionato esperto di telecomunicazioni, serie tv e soap opera. Giuseppe Ino è redattore freelance per diversi siti web verticali. Ha fondato teleblog.it, www.tivoo.it, mondotelefono.it, maglifestyle.it Ha collaborato tra gli altri anche con UpGo.news nella creazione di post e analisi. Collabora con la web radio Radiostonata.com nel programma quotidiano #AscoltiTv in diretta da lunedi a venerdi dalle 10 alle 11.

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