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Quando ci si sente figli di una generazione, come quella di qualche decennio fa, che si è trovata nelle situazioni più adatte per sfogarsi e mostrare le proprie capacità, appare scontato chiedersi, ad un certo punto, quale potrebbe essere il proprio futuro come artista o gruppo. Già dai primi minuti di ascolto di quest’album nascono non pochi interrogativi, che non consistono di certo nel basarsi esclusivamente sul controverso ed ironico titolo scelto. In primis, mettendosi nei panni non solo della band in esame, ma anche di svariate coetanee, è ancora possibile, dopo aver oltrepassato la barriera degli anta, scrivere canzoni che possano dimostrarsi all’altezza di quelli che sono diventati, per certi versi, i loro classici? E in particolar modo in un momento dove all’interno di una band è avvenuto il rientro di un componente che ha dato molto? La risposta la danno le quindici canzoni in analisi, oltre che i loro autori: gli Afterhours.
La realtà è che “Padania” è da considerare come un’opera difficile. Da valutare, da analizzare, da discutere. Perché prima volta del violinista Rodrigo D’Erasmo all’interno di un full-length di tale gruppo. Perché allo stesso tempo ufficializzazione del ritorno di Xabier Iriondo, uomo dall’indiscussa ecletticità, dimostrata anche altrove (dai Six Minute War Madness fino ad ), e musicista che si è dimostrato fondamentale per il percorso che ha visto Manuel Agnelli e soci arrivare dove sono adesso. Per queste e per chissà quante altre ragioni.
Un album come “I milanesi ammazzano il sabato” è stato già un tentativo, peraltro riuscitissimo, di introdurre degli arrangiamenti insoliti ma intonati con lo spirito delle canzoni scritte appositamente per esso. Adesso, senza quell’Enrico Gabrielli (qui presente in soli due momenti) che aveva contribuito al loro parto, è come se si tornasse su quella stessa via, ma servendosi di un’altra chiave di lettura.
I risultati potrebbero essere suddivisi in vari momenti. Innanzitutto, ci sono quattro canzoni che mostrano come la penna di Manuel abbia ancora dell’inchiostro da sputare sul foglio lasciando segni indelebili: i due brani di lancio, La tempesta è in arrivo e la title-track, la prima maggiormente vicina a una precedente incarnazione dei nostri, la seconda una ballata che potrebbe essere l’ideale seguito di Riprendere Berlino, Nostro anche se ci fa male, sulla stessa linea della canzone di cui sopra, e La terra promessa si scioglie di colpo, la quale, anticipata dalla soave Iceberg, affidata completamente a D’Erasmo, tra pianoforti e giocattoli annuncia la fine di una storia e l’apertura di qualcosa di nuovo.
Poi, tra un Messaggio promozionale e l’altro, ci sono i vari esperimenti, chi più chi meno interessanti. La Metamorfosi introduttiva, uno scontro tra Agnelli e Stratos, dove definire il vincitore è pressoché impossibile, oltre che sciocco anche solo da immaginare, la danza con fiati dal sapore free jazz che è Io so chi sono, la chitarra che funge da ingranaggio danneggiato di Spreca una vita, la spirale composta da miriadi di voci ed avente il nome di Terra di nessuno, l’estremizzazione di certi Fugazi presente in Giù nei tuoi occhi, e una Fosforo e blu che fa il verso a Siete proprio dei pulcini. Discorso a parte per Costruire per distruggere, che nella sua stranezza risulta essere più che gradevole.
Purtroppo, però, può risultare prevedibile lo sbaglio, il fallimento dinanzi al tentativo di fare qualcosa di diverso da quanto già proposto. È il caso di Ci sarà una bella luce, la composizione più povera mai fatta dagli Afterhours ed accostabile al terribile incidente di percorso “Lulu” della coppia Lou Reed-Metallica, piuttosto che a un “Trout Mask Replica” firmato Captain Beefheart. Un vero peccato, tanto per loro quanto per il disco.
Ad ogni modo, “Padania” non si può considerare un capolavoro, ma neanche una ciofeca. È più vicino all’essere un buon disco di transizione. Sta al tempo vedere se questa transizione si dimostrerà essere una più che dignitosa maturazione per la band milanese, che le impedisca di ridursi a uno stato giurassico.
Viste le attuali condizioni dei “rivali” Marlene Kuntz, giusto per fare un nome tra i loro coetanei, c’è da augurarsi che una fine simile non avvenga anche ad Agnelli. Il cammino per la sopravvivenza non è mai facile.
Gustavo Tagliaferri
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