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Un tempo i Perturbazione cantavano “agosto è il mese più freddo dell’anno“, come a sottolineare quelli che sono i lati meno allegri della stagione estiva, che, cada nove mesi, non smette mai di stanziarsi e plasmare le condizioni climatiche che vanno da fine maggio fino a inizio settembre, tra brezza, sole, mare e afa. Perché è anche vero che il rischio di ritrovarsi faccia a faccia con la solitudine è dietro l’angolo, è il tremore che, sopito, inizia a dare segni di presenza, “‘o fridd’ ‘ncuoll'”, per dirla in modo dialettale. Adesso, pur non essendo agosto ancora alle porte, in quel di Roma, se si parla di estate morta, un disco d’esordio intitolato proprio “A Dead Summer” che cosa lascerebbe intendere di preciso? Se i nomi di chi ne ha fatto cenno rispondono al nome di Manuele Frau, Manuel Mazzenga e Luciano Lamanna, in altre parole i Der Noir, a rappresentare il suo background è un suono che si fa chiamare cold wave, e che in un’occasione simile tanto è vicino alla corrente dark quanto non lo è a quella industrial.
Se l’estate morente si vede portare via dietro di sé quella gioia che non ha mai smesso di mancare giorno dopo giorno, è anche vero che cercare di delinearla non è cosa semplice, anzi, potrebbe esserci il rischio di scadere nell’anacronistico. Fortunatamente, per questo trio le conclusioni sono ben altre. Mentre Lamanna scioglie la briglia e fa sì che le proprie funzioni mnemoniche diano libero sfogo ad elucubrazioni partorite con l’uso di Korg e Juno, siano essi i battiti molecolari di Done, la corsa multidimensionale effettuata dal tappeto sonoro che riempie tutta la Private Ceremony di apertura, il sonar che si ode qua e là tra i giri di basso di Oblivion o l’elettrica odissea di Another Day, che apre le porte ad un domani non privo di soddisfazioni, dall’altra parte la voce di Frau sa come entrare all’interno di un certo mood, cercando una propria dimensione, esprimendosi solo in due occasioni attraverso la propria lingua madre: Cosa vedo, un’istantanea di una terra che trema e i cui segni sono udibili sotto forma dei riff chitarristici di Mazzenga, soggetti a distorsione, e la cureiana Lontano dalle rive, dove la distanza dal movimento delle onde del mare (forse lo stesso Mare d’inverno, donato a Loredana Berté da Enrico Ruggeri, ottimamente ripreso e rilasciato qualche settimana fa?) viene in qualche modo rappresentata da un dolce incedere di tastiera che in sé racchiude anche un augurio di ritorno a quelle stesse emozioni provate in precedenza. Magari mentre risuona un ripetuto riff di chitarra che fa tornare alla mente persino certi AC/DC (!), guardando su, verso quelle nuvole così bianche eppure così scure (Clouds of ’86), e a fare da momento a parte è la title-track, lo spazio concesso al silenzio di ogni testimonianza, sostituito da dissonanze in contrasto con synth di stampo electro.
“Grigi ricordi rinchiusi nel mare, lontano dalle rive, sagome di corpi mi si avvicinano piano, lontano dalle rive“.
“A Dead Summer” non è un addio, ma un arrivederci ad una stagione che sa come convincere nel corso degli ascolti, con uno stile tanto estero quanto proprio. Nell’attesa, ad avere la meglio, a Roma come nel resto dell’Italia, è proprio “‘o fridd’ ‘ncuoll'”. Prima del tempo.
Gustavo Tagliaferri
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