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Lo scongelamento.
All’apparenza risulta essere come un gioco di luci ed ombre quello che ruota attorno ad un processo legato, più che all’anatomia, alla ricerca delle forme più consone, e di conseguenza i lati di queste. Ma luminosità e contrasto sono caratteristiche più di contorno, rispetto alla fusione dei corpi mista ad un procedimento di tipo leonardiano, in cui la mescolanza tra ciascun soggetto finisce per divenire tutt’uno all’interno di un quadrato, di un cerchio, di un triangolo, per poi, di conseguenza, ruotare attorno ad esso. Analogamente per una numerologia il cui ruolo, stavolta, non è quello tipico delle pratiche di stampo occulto. Sono i punti cardine di una missione che i tre musicisti che si nascondono dietro i Der Noir hanno scelto di portare a termine, in un viaggio tra Roma e Berlino, andata e ritorno. “Numeri e figure“, giustappunto, a poco più di un anno di distanza da un esordio di tutto rispetto come “A Dead Summer“.
Uno studio, quello dei nostri, che in qualche modo segna la lenta evoluzione alla base di questo album, un passaggio dall’inquietudine di quanto già sperimentato precedentemente a qualcosa di più vicino a quello che è il lato “caldo” della new wave. E se Carry On è il cordone ombelicale che separa la band di oggi da quella di un anno fa, una full immersion di Neon, nella voce di Manuele Frau, sorretta dal lancinante riff di chitarra di Manuel Mazzenga, ed altrettanto si può dire per l’elettro-industrializzazione che è prerogativa di Kali Yuga, entrambe coadiuvate dal contributo della collega Anna Martino, sono presenti due momenti atti a segnare definitivamente il percorso della band: L’inganno, melodia di ispirazione pop, cantato italo-tedesco ed un malinconico solo di tromba a condire il tutto, e The Forms, calda chiusura a metà tra chill-wave ed atmosfere tranceggianti, ben amalgamate da Luciano Lamanna, mood ulteriormente marcato dalla presenza dell’affascinante sassofono di Pierluigi Ferro, direttamente dalla Macelleria Mobile di Mezzanotte. Il resto, sempre di alta qualità, è in mano all’incalzante title track e all’ossessiva Metamorfosi, memorie della Firenze dark da una parte e di Bauhaus dall’altra, al lineare ed incessante andamento di She’s the Arcane e ad un’atmosfera da club che fa breccia tanto in Zero quanto soprattutto nell’unico momento strumentale del disco, Sunrise, caratterizzato da ritmiche di stampo house rese secondo quello che è il linguaggio del trio.
Difatti, la crescita dei Der Noir è evidentissima e non può che dare luogo ad un album che va oltre l’obiettivo già portato a termine con “A Dead Summer”, mostrando come i ragazzi abbiano definitivamente scoperto le carte e si trovino con alle porte diverse prospettive di sicuro successo. Che male non fanno, nel loro caso. Visto anche quanto proposto.
Gustavo Tagliaferri
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