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L’attesa discesa italiana dei Katatonia ha certamente reso il loro concerto romano il principale evento metal capitolino di novembre (non ce ne vogliano i Rhapsody di Luca Turilli o Steve Vai). Se poi aggiungiamo che, accanto agli scandinavi, sul palco dell’Orion di Ciampino si sono esibiti gli Junius, ma soprattutto gli acclamatissimi Alcest, il gioco è decisamente fatto
La serata è cominciata con un ritardo di un’ora e mezza, dovuta ad un guasto del tour-bus, motivo per il quale Jonas Renkse & co. si sono più volte scusati con il pubblico presente. La platea non era foltissima come ci si sarebbe aspettati in un primo momento, ma tra gli astanti l’adrenalina era più che palpabile, così come calorosissima è stata l’accoglienza riservata ai tre gruppi. In tanti sono venuti anche da fuori i confini regionali per assistere ai concerti.
Purtroppo siamo giunti all’Orion in ritardo e non abbiamo potuto assistere al concerto degli Junius. Chi ha avuto modo di vedere e ascoltare gli americani ne ha detto un gran bene, così come in maniera più che positiva si è espressa la critica nei confronti dei loro album.
Dopo il cambio palco, un vero e proprio boato ha accolto l’inizio del concerto degli Alcest. Che la band di Neige fosse apprezzata dai supporters italiani era cosa ben nota. Mai, tuttavia, ci saremmo aspettati un tale calore, che in certi momenti quasi ha superato quello per gli headliner dell’evento. L’esibizione dei francesi è stata davvero sopraffina, soprattutto per la meravigliosa capacità di resa live dei brani. Tre estratti dall’ultimo “Les voyages de l’âme” più alcune perle degli album precedenti per un concerto coinvolgente, nonostante la lunghezza dei pezzi e la proposta non certo di facile assimilazione. La voce di Neige (quasi eterea, salvo alcuni passaggi di puro stampo black metal) e i ritmi ipnotici dettati dalla band hanno avuto presa su un pubblico attento e più che partecipe. Tanta qualità a cavallo tra black e shoegaze per un gruppo originale ed innovativo, in attesa di rivederli da headliner con maggior tempo a disposizione. Peccato per i suoni, non sempre all’altezza.
Si arriva così, con ancora nelle orecchie le note magiche degli Alcest, al momento clou della serata: il concerto dei Katatonia. I cinque svedesi si presentano carichi e motivati per l’esibizione nonostante le peripezie della giornata, un dato che conferma più che mai la professionalità della band. Diciassette brani in scaletta più tre bis per uno show tirato e quadrato, che ha visto sugli scudi i pezzi dell’ultimo album in studio, “Dead End Kings“, con spazio anche per tutta la produzione del gruppo dal 1998 in poi (esclusi, quindi, i primi due dischi “Dance of December Souls” e “Brave Murder Day”). Tecnicamente ineccepibile, l’esibizione è stata contrassegnata dalla più che buona prova vocale di un appesantito Jonas Renkse, vera e propria marcia in più su ogni singolo brano (nonostante alcune sbavature tutto sommato passibili). L’affiatamento tra i musicisti è parso dei migliori e ciò ha sicuramente contribuito a rendere il live coinvolgente, nonostante in alcuni momenti l’attenzione del pubblico sia un po’ scemata, vuoi per l’orario, vuoi per i volumi che, inizialmente impeccabili, con lo scorrere della scaletta si sono fatti incredibilmente alti. Ciononostante, i Katatonia hanno confermato di essere una band di grande spessore e che, senza aver mai avuto paura di osare, è riuscita sempre a mantenere un alto profilo qualitativo dal punto di vista artistico. L’esibizione dell’Orion lo testimonia a chiare lettere.
Livio Ghilardi
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