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Prima di recensire quest’album, mi tocca fare due premesse:
– Partiamo dal presupposto che i Katatonia sono i maestri del metal malinconico. La loro carriera ha subito delle notevoli virate in senso compositivo, come spesso accade a quelle band che sono partite dal doom-death-metal per poi approcciarsi in maniera più profonda a temi quali la solitudine, il dolore, l’angoscia, attingendo dal gothic-rock e andando a tutti gli effetti a creare il genere gothic-metal (vedi Paradise Lost e Anathema).
– “Dead End Kings” è il nono album della band, e probabilmente segna una nuova virata. Il disco è colmo di squarci melodici e momenti riflessivi, l’oscurità degli ultimi lavori lascia spazio a rarefatti spiragli di luce che donano un sapore chiaroscuro all’opera. Un’opera che è stata acclamata da pubblico e critica, un successo su tutti i fronti.
Questi spiragli di luce devono aver fatto pensare ai Katatonia che fosse possibile reinterpretare l’album in una chiave acustica, più intima, emozionale.
L’hanno fatto. E hanno fatto bene.
L’album è stato realizzato in crowdfounding, ovvero grazie alle offerte messe in “pegno” dai fan, e alla vendita di diverse memorabilia messe a disposizione dalla band. Ciò che ne è venuto fuori è “Dethroned and Uncrowned“, ovvero “Dead End Kings” “senza trono e senza corona”.
Sarebbe però un errore credere che si tratti semplicemente dello stesso album riarrangiato in acustico. Mantenendo le linee vocali originali e poco altro, le tracce musicali sono state riscritte come fossero il rimedio a una necessità diversa da quella originale, un ricordo sbiadito che ha bisogno di essere messo nero su bianco. I Katatonia non sono mai stati così melodici, e così bravi a padroneggiare la malinconia che queste melodie inevitabilmente trasmettono all’ascoltatore. La batteria è assente, sostituita talvolta da percussioni minimali; pianoforte e chitarre acustiche ridisegnano le armonie conosciute con matite diverse: ne risultano disegni che somigliano alle foto che conoscevate, ma che catturano e mettono in risalto particolari che non avevate notato prima. Tra arpeggi, tappeti di synth e accordi da falò di un’estate ormai conclusa, le undici tracce vi trascineranno via in un fiume lento e scuro, dentro la vostra coscienza: parleranno direttamente con le vostre sensazioni, e non sempre capirete del tutto.
Nella lettera di presentazione, i Katatonia hanno descritto il progetto come se “Dead End Kings” fosse una persona a cui sottoporre un intervento di chirurgia plastica facciale: il volto della persona sarebbe cambiato, ma dietro quel volto la persona sarebbe rimasta la stessa. Io andrei oltre, e parlerei di reincarnazione.
E non sarebbe da sprovveduti considerare l’idea che quest’opera superi l’originale, in bellezza.
Gabriele Fontana
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