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Musica e politica sono due mondi che non sanno stare molto facilmente a braccetto nel modo più consono. È vero, quando si fa uso di quel tocco di goliardia in più può venire fuori qualcosa d’irresistibile, ma è anche pratica risaputa di diversi nomi aventi una certa notorietà arrivare ad analisi solo superficiali, che non entrano nel cuore del problema, che, senza volerlo, fanno il gioco di organi televisivi e cartacei da evitare come la peste. La Fuzz Orchestra, fortunatamente, non è così, anzi, adempie molto adeguatamente un’azione come quella del recupero di dati storici fin troppo sottovalutati, quando in realtà più necessari che mai per capire i tempi che viviamo, dall’antifascismo come dovere morale facente da centro all’omonimo disco d’esordio agli anni di piombo che hanno trovato nuova vita in Comunicato n.2. E, tra Off Set e Brigadisco, Wallace e From Scratch, Boring Machines e Blinde Proteus, il loro terzo capitolo non può che ritrovarsi a cavallo tra gli anni ’70 e i giorni nostri. Questo è Morire per la patria.
La band, il cui nucleo, composto da Luca Ciffo e Fabio Ferrario, con l’arrivo del poliedrico batterista Paolo Mongardi (Zeus!, Fulkanelli, ma anche Il Genio e Ronin) ha saputo colmare il vuoto venuto fuori dall’abbandono di Marco Mazzoldi, ha già chiare le idee di quelle che sono le testimonianze riportate nelle sette tracce del disco, prove di come si sia potuti già essere avanti di anni ai tempi. C’è un Giordano Bruno, interpretato da un immenso Gian Maria Volontè, che si ritrova cosparso di Sangue, di quello che schizza mentre risuona un elettrico hard rock, c’è il petriano ragionier Total (Flavio Bucci), che con il suo monologo introduttivo rappresenta l’anima de La proprietà ed è sostenuto dall’improvviso ritorno del violino di Dario Ciffo (Afterhours, Lombroso), e poi il tribalismo free jazz misto a certi Bisca che emergono dal sassofono di Enrico Gabrielli di Il paese incantato, canti tradizionali sospesi tra ritmiche che non dispiacerebbero neanche ai compaesani Ufomammut (Svegliati e uccidi), se non addirittura inseriti in un vortice di rumorismo che li porta, da Napoli con furore, ad essere manomessi dalla presenza aggiuntiva di Xabier Iriondo (Viene il vento), il pasoliniano Giovanni Battista de Il Vangelo secondo Matteo, messosi in guardia contro le male presenze, mentre l’incedere dei vocalizzi aggiuntivi di Gabrielli lo porta ad essere come un funambolo in bilico su un filo, e ancora Volontè, nell’epitaffio metal conclusivo di Morire per la patria, ripetuto a mo’ di mantra, come segno di una distruzione collettiva, non solo materiale ma anche umana, non ancora arrestata del tutto. La guerra del rosiano Uomini contro, per nulla diversa dai giorni nostri.
Questo disco è uno specchio lucido di una realtà troppo tragica per non essere riconosciuta, raffigurata con impegno e collera. Una realtà che non è affatto quella raccontata da chi si lascia andare ai condizionamenti dei divetti da prima serata con il conto in banca alle stelle, ma è lontana da travaglismi, savianismi, grillismi, littizzettismi. La Fuzz Orchestra fa sul serio, ancora una volta. E dove Iriondo è passato con il suo “Irrintzi“, essa non ci pensa due volte a seguire l’esempio.
Massimo rispetto.
Gustavo Tagliaferri
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