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Non sono ancora ben note le ragioni per cui i Black Rebel Motorcycle Club abbiano battezzato “Specter at the Feast” questo loro ritorno alla ribalta discografica: tale scelta appare però quanto mai adatta a evocare una certa evanescenza (quasi fantasmatica, appunto) della proposta musicale del trio statunitense, perlomeno per quanto concerne il disco oggetto di questa recensione.
Scorrendone le dodici tracce, rimane effettivamente invincibile la sensazione di un eterno ritorno di trame sonore già ripetutamente incontrate in un imprecisato, molteplice altrove. E fin qui nulla di male, se si considera che Heyes e soci devono gran parte della loro fortuna alla natura essenzialmente revivalistica del loro progetto. Anche in “Specter at the Feast” troviamo dunque la consueta miscela di psichedelia, shoegaze e rock-blues: gli esiti questa volta paiono però meno incisivi che in altre precedenti prove, frutto un po’ stantio dell’ineluttabile stanchezza compositiva di una formazione non certo mai distintasi per l’originalità della sua proposta. Il tutto, per carità, suona come sempre ben confezionato; peccato proprio non si riesca ad andare oltre l’esecuzione del proverbiale compitino. Appare quindi sintomatico che a spiccare in particolar modo sia nientemeno che una cover (nonché singolo apripista), ovvero Let the Day Begin dei Call, trascinante e poderoso rock-blues che lasciava presagire ben più interessanti sviluppi per l’album a venire. Tuttavia, per quanto spesso e volentieri manieristica e anche un po’ ruffiana, la componente più propriamente rock di questo lavoro (Hate the Taste, Rival e soprattutto l’energica Teenage Desease) è quantomeno suscettibile di onestamente intrattenere senza annoiare; la notturna, spettrale (come da titolo) Some Kind of Ghost è un blues psichedelico che in qualche modo intriga. Alquanto pretenziosi invece risultano alcuni episodi temporalmente più dilatati, come gli oltre otto minuti di Lose Yourself; sconfinamenti in territori pop come la leziosa Lullaby dispensano stucchevolezza sin dal primo ascolto. Non ne sono in verità necessari molti altri, per consegnare l’intero “Specter at the Feast” a un probabilmente rapido oblio.
Luigi Iacobellis
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