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Quando nel 2001 esce il suo primo album “Alle ragazze nulla accade per caso”, prodotto “da un certo” Amerigo Verardi, un seguitissimo portale italiano afferma che “si candida ad affiancare gente del calibro di Cristina Donà e Carmen Consoli per costituire un’ipotetica sacra triade del cantautorato femminile italiano”. Dieci anni (e alcuni problemi burocratici) dopo, quando i media di settore sembrano averne perso le tracce, ritorna nei loro radar con “La balena nel Tamigi“, prodotto anch’esso da Verardi. Dal vivo opta spesso per arrangiamenti tosti in compagnia di alcuni musicisti fidati, senza disdegnare sortite in solitaria in cui è possibile osservarla mentre si districa brillantemente tra microfoni registratori autoharp chitarre e percussioni varie (qui un assaggio). Per la gioia dei fan, nel 2013 dà alle stampe un nuovo disco, “Arriviamo tardi ovunque“. Lei è Valentina Gravili e questa è la sua tracklist. Buon ascolto.
Afterhours – La vedova bianca (da “Ballate per piccole iene”, 2005)
Credo che gli Afterhours siano la più grande rock band che abbiamo oggi in Italia. Per questo sto preparando questa cover per i miei prossimi concerti. In particolare ho scelto questo brano perché il testo, cantato da una donna, si presta a nuove stuzzicanti sfumature.
Bon Iver – Michicant (da”Bon Iver, Bon Iver”, 2011)
Perché mi incanta…
Johnny Cash – Folsom Prison Blues (da “Johnny Cash with His Hot and Blue Guitar”, 1957)
Perché in “Walk the Line”, il film tratto dall’autobiografia di questo straordinario artista, adoro la scena del provino “improvvisato” in cui lui e la sua band eseguono questo brano senza averlo mai provato prima.
Prodigy – Firestarter (da “The Fat of the Land”, 1997)
Grande pezzo e grande video.
Patti Smith – Pissing in a River (da “Radio Ethiopia”, 1976)
Uno dei brani che preferisco della sacerdotessa.
Devendra Banhart – Seahorse (da “Smokey Rolls Down Thunder Canyon”, 2007)
Perché davvero “I want to be a little seahorse” e per l’anima latina, surreale e po’ psichedelica di questo cantautore.
PJ Harvey – The Last Living Rose (da “Let England Shake”, 2011)
In realtà, avrei potuto scegliere un brano qualsiasi di “Let England Shake”, per me il capolavoro assoluto di Polly Jane Harvey.
The Black Keys – Dead and Gone (da “El Camino”, 2012)
Perché nonostante il testo non proprio solare, ascoltarla mi ricarica.
Edith Piaf – Non, je ne regrette rien (singolo, 1960)
Per la sua “ugola insaguinata”.
Lotus – Io sono il re (da “Nessuno è innocente”, 2003)
Perché Amerigo Verardi è stato un maestro e una presenza fondamentale nel mio percorso artistico.
Kevin Ayers – Margaret (da “Whatevershebringswesing”, 1972)
Per un ultimo saluto…
a cura di Christian Gargiulo
11 cover per… è la nostra nuova rubrica. Funziona così: un(a) musicista sceglie le undici, altrui canzoni che inserirebbe in un suo personale album di cover e per ogni scelta fatta ci spiega il motivo. Senza alcun tipo di limite: né di genere né di nazionalità né di periodo storico.
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