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“Il primo disco era meglio. Giovani dentro era meglio”. Come per i colleghi (un nome a caso) Gazebo Penguins, anche per i Majakovich è arrivato il momento di confrontarsi con la lingua di Dante. Non la prima volta, poichè nell’EP di debutto, “Songs for Pigs”, c’erano già tre episodi in italiano. I due pezzi usciti l’anno scorso per i tributi a Laghetto e Fluxus sono stati due ulteriori conferme: l’italiano può funzionare benissimo. Sull’inglese i Nostri (Francesco Sciamannini, Francesco Pinzaglia e Giovanni “Giangi” Natalini) hanno sempre scherzato: “Majakovich non sa bene l’inglese ma si adopererà per impararlo”. “Il primo disco era meglio” (titolo geniale) è il loro nuovo album e arriva a ben quattro anni dal precedente “Man Is a Political Animal, by Nature. Potremmo iniziare la recensione parlando della splendida copertina del disco – opera di Alessia Pastore – che si contrappone al “serioso” artwork della precedente prova – realizzato da Luca Bottigliero (One Dimensional Man, Mesmerico, ora in forza ai Lucertulas), perché “Il primo disco era meglio” gioca sui contrasti, sui colori. Colori portati dalla produzione firmata da Tommaso Colliva (Calibro 35, Muse, ecc) che dona un tono più acceso, più rock, all’intero disco, in contrapposizione al “cupo”, sperimentale e abrasivo predecessore (prodotto da Giulio “Ragno” Favero). Brani come Devo fare presto e La verità (è che non la vuoi) sono destinati a diventare possibili inni da cantare a squarciagola ai concerti, ma i Majakovich ci mostrano che non sanno solo affilare le chitarre: Colei che ti ingoia e Ufo, sostenuto da un pianoforte il primo, rarefatta ballata acustica la seconda, sono la dimostrazione pratica della loro fantastica abilità di scrittura, fresca e coinvolgente. Il primo disco era meglio? Vi prego.
Marco Gargiulo
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