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CD/LP – Garrincha – 10 t.
Il secondo capitolo della carriera de L’orso può essere riassunto con un solo termine: rivoluzione. E non solo per il titolo del disco, perché la band lombarda ha davvero operato dei cambiamenti importanti, forse impensabili alla vigilia, dato il buon esordio che lasciava presagire che la strada intrapresa fosse ormai definita. L’orso ha già sentito la necessità di cambiare, di rinnovarsi. È stata una scelta rischiosa, ma ha pagato: il disco viaggia continuamente sulle ali dell’indie pop, ma sa farsi più aggressivo quando serve, attraversando anche i cieli del rock. E, come se non bastasse, è presente anche una dolce parentesi post-rock (Come uno shoegazer). A condire il tutto c’è una buona dose di elettronica che talvolta ricopre un ruolo marginale e in altri casi, invece, è più presente, come nel brano d’apertura (Post-it) o in quello di chiusura (Baader-Meinhof). I testi sono all’insegna di un sottile sarcasmo, come si può facilmente intuire già dal titolo dell’album. Certamente non basta programmare una sveglia per far scoppiare una rivoluzione, ma cantare il nostro tempo con ironia, con una rabbia filtrata da un sound tendenzialmente allegro e frizzante e, contemporaneamente, saper farsi ascoltare è un buon modo per dare il proprio contributo. Anche il cantato conferisce al disco quell’imprescindibile varietà che ne favorisce l’ascolto, assumendo, in alcuni passaggi, contorni quasi rap. Nulla è lasciato al caso, dunque: il disco si attesta su buoni livelli dall’inizio alla fine, senza regalare momenti particolarmente brillanti, ma escludendo anche passaggi a vuoto. L’orso è andato davvero nella direzione della rivoluzione, quella giusta.
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