Sono passati ormai diversi anni dalla presentazione di Dead Island 2 con quel primo favoloso trailer dell’E3, tuttavia di acqua sotto i ponti ne é passata veramente tanta dal 2014 e se c’è un mercato che evolve e cambia le sue tendenza con una certa frequenza, è senza dubbio quello dei videogiochi.
Ora siamo nel 2023 e Dead Island 2 è finalmente arrivato sul mercato con l’obiettivo di rilanciare una IP che, tra alti e bassi, aveva permesso a Techland di attirare su di sé i riflettori, dando poi vita ai due successivi Dying Light.
Le cose però sono cambiate e l’IP adesso è nelle mani di Dambuster Studios, che si è dovuto accollare un progetto dallo sviluppo molto travagliato, forse con l’obiettivo di inseguire anche un po’ le tendenze “caciarone” del mercato. Abbiamo trascorso diverso tempo in compagnia del gioco, grazie al codice fornitoci da Plaiton e siamo finalmente pronti a dirvi la nostra.
Ambientato in una Los Angeles invasa da un virus che trasforma le persone in morti viventi dove le vere star sono quelle pompose di Hollywood, qui ribattezzata Hell-A. Il titolo imposta fin dalle prime battute un tono molto poco serioso e tanto fracassone, con una formula che miscela horror, umorismo dark, azione esagerata e un combattimento in prima persona viscerale e cruento che trova la sua vera anima nella modalità cooperativa per un massimo di tre giocatori.
Quattro i personaggi giocabili: Bruno, Jacob, An e John. Ognuno di loro ha una propria motivazione per sopravvivere all’apocalisse zombi e grazie alla parentesi ruolistica che caratterizza la produzione, i loro tratti possono influenzare anche l’andamento degli scontri tra abilità passive e attive uniche. A prescindere però dalla scelta che si farà nelle prime battute iniziali, l’incipit e le vicende non subiranno particolari variazioni e il focus diventa fin da subito evidente: Dead Island 2 non cerca chissà quale profondità narrativa, ma vuole piuttosto essere un palese parco giochi dove sono il gameplay e l’ esplorazione dei luoghi più iconici di Los Angeles, come Beverly Hills, Venice Beach e Hollywood a farla da padrone. Perché se c’è un punto a favore innegabile della produzione, sono le sue atmosfere vibranti e stilizzate, condite da dark humor verso lo star system hollywoodiano Il gioco offre anche una grande varietà di armi e modifiche, che permettono di affettare, fracassare, bruciare o strappare gli zombi in modo creativo e spettacolare.
E’ sorprendente come, in un mercato sempre più opprimente con i suoi bulimici open world, il team di sviluppo abbia optato una soluzione molto controcorrente per il suo Dead Island 2, puntando a una struttura esplorativa più circostanziata, fatta di livelli mediamente grandi o piccoli, a seconda delle zone, con obiettivi ben precisi da portare a termine e quest secondarie che, nel 99% dei casi, si “consumano” all’interno dello stesso livello.
Appare evidente come la scelta sia mirata a rendere l’avventura più lineare e dal nostro canto apprezziamo l’idea che ogni tanto produzioni del genere decidano di fare qualche passo indietro per puntare a qualcosa di più concentrato. Una scelta che sulla carta promuoviamo, peccato però che Dead Island 2 scelga di adagiarsi fin troppo sugli allori, limitandosi a un quest design banale e ripetitivo dove gli unici scopi sono rappresentati dalla necessità di ammazzare ondate di nemici e creare armi sempre più potenti e Da questo punto di vista, per quanto sia interamente giocabile in single player dall’inizio alla fine, il gioco trova la sua dimensione perfetta all’interno di un contesto multiplayer, tuttavia è proprio all’interno di questo specifico ramo del mercato che il gioco potrebbe fare fatica a ritagliarsi il suo spazio sul lungo tempo.
Il gioco offre una grande varietà di armi e modifiche, che permettono di personalizzare lo stile di combattimento e di sfruttare le debolezze degli zombi, ma anche qui emerge un problema di fondo nella calibrazione della difficoltà, che verso metà dell’avventura verrà lentamente sminuita, in particolare con le armi da fuoco, che andranno a rompere gli equilibri di un sistema già non proprio bilannciato.
Molto carina anche l’idea delle carte, che dovrebbero stimolare a costruire delle build specifiche, ma anche lì, persistono degli squilibri nel sistema che siamo certi spingeranno i giocatori a usare set abbastanza identici perché vantano perk decisamente più vantaggiosi di altri.
Come avevamo già lasciato intendere in un precedente paragrafo, Dead Island 2 fa dello stile visivo il suo grande punto di forza e torniamo sull’argomento proprio per ribadirlo.
Sfruttando il potenziale dell’Unreal Engine 4, il titolo sfoggia una grafica curata e dettagliata, con un’ottima resa dei colori, delle luci e delle ombre, con animazioni tutto sommato buone. Ma non solo, perché l’interazione con l’ambiente gode di altrettante finezze che si intersecano con il gameplay, grazie alla possibilità di utilizzare gli oggetti distruttibili come armi o addirittura trappole nel caso di generatori elettrici, benzine e altre diavolerie simili. Decisamente riusciti sono gli impatti dei colpi durante gli scontri, che se all’apparenza non sembrano donare un feedback soddisfacente, in realtà è perché gli sviluppatori hanno lavorato per creare degli zombie credibili che si danneggiano progressivamente con i colpi, diventando sempre meno resistenti superando i vari strati di pelle, fino a spaccargli anche le ossa per mutilarli. Il tutto ovviamente mira a dare un senso di violenza viscerale, con quell’eccesso di sangue tipicamente pulp.
Dead Island 2 tutto sommato fa il suo dovere e opta per delle scelte di design sicuramente astruse per le tendenze del mercato odierno dei videogiochi, ma le prime ore purtroppo rappresentano anche il prodotto nella sua interezza: un gioco unicamente votato al massacro, poco interessante nella sua narrativa, e alla lunga ripetitivo a causa di una struttura che dopo le prime ore inizia a ripetersi perdendo lentamente la presa sul giocatore. E’ chiaramente una produzione concepita per divertirsi in compagnia degli amici e che non richiede troppo impegno.
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