Paolo Nori ha cominciato a studiare russo nell’autunno del 1988, a venticinque anni, ed è arrivato in Russia nel 1991 quando era ancora Unione Sovietica. Ha vissuto a Mosca gli anni tumultuosi della fine di quell’impero, ha percorso tutta la Transiberiana da Mosca a Vladivostok, ha fatto in tempo a dormire tra i banchi del settore libri antichi della biblioteca di San Pietroburgo e a vedere la piazza del Fieno di Dostoevskij distrutta dai nuovi ricchi. Questo è un corso sintetico di ciò che ha letto, studiato e imparato sulla letteratura russa e sui russi in generale. Sintetico nel senso che non segue un ordine cronologico, né fa un’analisi delle correnti letterarie russe, ma nel suo modo brillante e appassionato tratta di tre temi: il potere, l’amore e il byt (cioè la vita quotidiana) e anche del perché la letteratura russa sia finita nel 1991. Ma soprattutto parla di quanto è bello leggere libri russi, del male che ti fanno e del piacere che si prova quando uno scrittore ti ferisce. Gli scrittori russi lo sanno fare benissimo. Per questo motivo Paolo Nori ha letto più libri scritti in russo che libri scritti in qualsiasi altra lingua, e forse è per questo che dovremmo farlo anche noi.
Paolo Nori è scrittore e traduttore di alcuni dei più grandi autori russi, Lermontov, Puškin, Gogol, Turgenev, Gončarov e Tolstoj tra gli altri. Come autore ha esordito con Le cose non sono le cose (Fernandel) e Bassotuba non c’è (Einaudi Stile Libero). Ha fondato la rivista letteraria “L’Accalappiacani” e collabora con alcuni quotidiani, tra cui “Il Foglio” e “Il Fatto Quotidiano”, e ha un blog su “Il Post”.
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