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Fin dal loro azzeccato inizio con “Dell’impero delle tenebre”, Il teatro degli orrori ha dimostrato l’intento (ben riuscito) di applicare la musica rock a testi che rasentano la poesia, quella più cruda e scapigliata, diventata ormai un marchio di riconoscimento.
Giunge ora “A sangue freddo“, il secondo atto di questo terribile e altrettanto affascinante teatro. Un disco dove spiccano i contenuti e le critiche verso un paese, il nostro, che ormai si sta perdendo nei suoi mille duraturi difetti, che ci vengono urlati in faccia tra riff graffianti di chitarra.
È un album nero e denso come la pece. Pregno di citazioni e rimandi culturali (tanto amati da Pierpaolo Capovilla, frontman a dir poco folle della band) ben assestati nel vortice sonoro: riscrive una preghiera invocando la fine di guerre e malinconie (Padre nostro), cita il poeta russo Majakowskij nella canzone omonima, ma anche i nostri De Gregori (A sangue freddo) e Celentano (Alt!), creando una sorta di ponte tra la canzone d’autore d’altri tempi e il rock più contemporaneo. E’ una denuncia alle contraddizioni sociali in cui viviamo, dalla violenza poliziesca di Alt! (“Scommetto che fai uso di stupefacenti. Cosa porti in borsa zecca comunista? Adesso sono affari tuoi, sono solo affari tuoi“) all’ipocrisia del mondo politico in Il terzo mondo. Non manca neppure l’ipocrisia più quotidiana, legata alla vita di tutti i giorni, raccontata con estremo realismo in È colpa mia.
Musicalmente parlando, “A sangue freddo” è un disco di grande spessore sonico, meno grezzo e distorto del precedente, più classicamente rock e quindi più appetibile, con virate sorprendenti, stop and go che non ti aspetti, momenti di dolce malinconia che rendono le dodici tracce meno “carrarmatorock”.
Ma non è finita qui. Numerose sono le collaborazioni (anche inusuali) in questo nuovo capolavoro: su di tutte si nota Direzioni diverse, che vede il remix di uno dei gruppi più discussi del momento, i Bloody Beetroots, rendendo il brano decisamente particolare grazie al cantato profondo che domina la base elettronica.
Un album completo, sotto ogni punto di vista, con un sound deciso e più a fuoco, con innovazioni, sferzate rock trascinanti e contenuti che non lasciano impassibile nemmeno un ascoltatore sbadato. Queste canzoni entrano sottopelle, nel cuore, in testa e di cui, ora come ora, non se ne può fare a meno. “A sangue freddo”è la grande e imponente conferma di uno dei migliori gruppi del nostro (orribile) paese.
Sipario.
Michela “Mak” De Stefani
Il teatro degli orrori (il gruppo/il supergruppo), a due anni dell’acclamato esordio, ritorna con un nuovo album: “A sangue freddo”, sempre edito da La Tempesta.
Le cose sono cambiate, il suono è cambiato, il gruppo allarga i suoi orizzonti musicali, si perde nella retorica. Alcuni brani hanno gambe per reggersi da soli (l’inaspettata Io ti aspetto, Due, Direzioni diverse, la “suite” Die zeit), altri inciampano e cadono (Mai dire mai, A sangue freddo). La voglia, durante l’ascolto, di skippare tra un brano e l’altro c’è. Uno dei pochi pregi sono le collaborazioni: da elementi degli ZU a Bologna Violenta, da Robert Tiso (con i suoi bicchieri musicali) ai Bloody Beetroots (a loro è dovuta la grazia sonora di Direzioni diverse).
Una sufficienza di stima.
Marco Gargiulo
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