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I palermitani Sergeant Hamester aggiustano un po’ il tiro. Questa potrebbe essere la frase chiave della recensione: se con il primo EP, “Star Messenger”, il viaggio lisergico fra distese di sabbia e oscuri abissi siderali li aveva portati troppo vicino ai pesi massimi del genere, catalogandoli, non con qualche errore di valutazione, come ennesimi cloni, questo piacevole nuovo lavoro (omonimo), come detto prima, si muove in maniera decisamente diversa.
Se precedentemente il combo aveva puntato sulla formula tanto scontata quanto sicura dei percorsi psichedelici abbondantemente conditi da orpelli elettronico – analogici, questa volta è l’immediatezza la parola chiave: frasi musicali dirette, riff non scontati, brani di una durata contenuta che raggiungono l’obiettivo sperato rapidamente e senza far restare l’ascoltare a braccia conserte, ad aspettare il cambio di registro in un brano da dieci minuti.
Attenzione, i Sergeant Hamster rimangono in ogni caso una stoner band, ne hanno ancora le peculiarità, l’attitudine e sicuramente il diritto ma, ed è una cosa che accade raramente in gruppi di questo genere, sono riusciti a rimodellare il loro suono, facendolo proprio.
La cosa che più colpisce in questo disco è una certa attitudine, soprattutto nel cantato, a quella squisita decadenza sinuosa, quasi voluttuosa, tipica di alcune produzioni dei ’90: tanto per capirsi, in alcuni brani (Sleepless è il paradigma di quanto detto) è come se si potesse scorgere fra i fraseggi l’ombra di certi Alice in Chains.
In mezzo a tutto questo, per carità, troviamo anche i passi falsi di chi cerca di spingersi troppo oltre, sconfinando in un territorio di ingenuità pseudo punk che proprio non gli si addice (leggere Space Duke). Al contrario, una certa, gustosa, venatura hardcore caratterizza molto bene le produzioni del disco: mai troppo manifesta, emerge in alcuni riff strozzati di chitarra o nelle percussive linee di batteria.
Questo disco dei Sergeant Hamster, preso singolarmente, è un buon lavoro ma, ed è qui il senso di quanto detto finora, questa recensione è più un consiglio: non adagiarsi sugli allori o su questa illuminata fase di crescita musicale, la ricerca e la sperimentazione sono processi sempre possibili e fermarsi adesso sarebbe davvero un peccato.
Fabio Fiori
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