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Il bervismo non va inteso esclusivamente come un semplice stile di vita. Il bervismo rappresenta anche la forma di pensiero più consona della quale servirsi quando si tratta di mettersi di buona lena, armati di stralci di giornali e testimonianze passate e presenti, sulle tracce di una delle pagine più buie della città nella quale si risiede e da cui è nata la propria avventura. Perché il lavoro del trevigiano Nicola Manzan non è fatto solo di “Utopie e piccole soddisfazioni” tipiche di un “Nuovissimo mondo” di cui si è abitanti, anzi, è necessario che la propria creatura vada ulteriormente al sodo, spazzi via ogni controversia e mostri la realtà nuda e cruda dei fatti. È la ragione di vita di Bologna Violenta, e non è un caso che sia la banda della Uno bianca la diretta interessata del suo nuovo album in studio. Un’impresa apparentemente ardua, quella di sintetizzare più di quattordici anni di rapine culminate in ulteriori morti, di agguato in agguato, ma è proprio qui che lo spirito di un progetto simile mostra la sua parte migliore. Esprimere l’orrore, la tragicità dei fatti attraverso composizioni istantanee, fatte di riff infernali ed incessanti, blast beats sospesi all’interno di istantanee sinfonie techno-speedcore (3 ottobre 1987 – Cesena, 27 dicembre 1990 – Castelmaggiore (BO), 28 agosto 1991 – Gradara (PS)), bagni di sangue che si consumano improvvisamente in contesti diversi tra loro, eppure più vicini di quanto non siano (10 dicembre 1990 – Bologna, 18 agosto 1991 – San Mauro a Mare (FC), 3 marzo 1994 – Bologna), segni di una realtà irreale, tale da far perdere i sensi (15 gennaio 1990 – Bologna, 24 febbraio 1993 – Zola Predosa (BO)) passando per una forma di ambient celestiale e glaciale al contempo, mentre la voce di un telegiornale scorre commentando dolorosamente quanto accaduto (4 gennaio 1991 – Bologna), o attimi in cui ha la meglio il violino, principale ragione di vita di Manzan, attraverso cui raggiungere sempre il giusto climax fatto di disperazione e rabbia (2 maggio 1991 – Bologna, 7 ottobre 1993 – Riale (BO)), ed allo stesso tempo tracciare, in un soliloquio accompagnato da un isolato rintocco di campane, l’ultima pietra tombale, quella di Giuliano, padre di metà della banda (29 marzo 1998 – Rimini), rende molto bene l’idea di cosa abbia rappresentato una simile storia per Bologna e per tutta l’Italia. Un suono duro, spigoloso e allo stesso tempo struggente. Una retrospettiva di vite spezzate senza scrupoli effettuata con il tatto ed obiettività in un processo storiografico tale da fare di “Uno bianca” un ineccepibile concept album, un trattato audiovisivo da sfogliare con mano anche quando si sente il bisogno di andare oltre l’ottica musicale, scevri da qualsivoglia forma di mala riabilitazione e sciacallaggio.
Gustavo Tagliaferri
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