The Evil Within: la nostra recensione

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  • Nome completo – The Evil Within/ Psycho Break ( Jap )
  • Piattaforme – Playstation 4/Playstation 3/ Xbox One/ Xbox 360/ PC
  • Producer – Bethesda
  • Developer – Tango Gamework
  • Distribuzione – Digitale/disco

Molto di rado recensisco survival horror sulle pagine di CartoonMag, questo molto probabilmente proprio a causa della latitanza di titoli generalmente interessanti appartenenti a questo ramo. Abbandonato e lasciato a se stesso oppure alterato con dosi eccessive d’azione, il vero concetto di survival horror è sparito inevitabilmente nell’oblio dopo la grande consacrazione dei primi quattro Resident Evil del grande maestro Shinji Mikami. Se i primi tre storici capitoli sono diventati presto sinonimo della cultura pop horror cinematografica e videoludica, Rasident Evil 4 rivoluzionava i canoni del genere, sacrificando le anguste telecamere fisse in favore di una visuale in terza persona posta alle spalle del protagonista. A sua insaputa, Mikami aveva ancora una volta consacrato un nuovo genere, ovvero quello degli action in terza persona da cui poi è nato il Gear of War di Epic, diventato a sua volta il punto di riferimento per eccellenza del genere.

Sull’onda di questa evoluzione degli sparatutto,  Capcom ha dato vita ad altri due episodi di Resident Evil, pur non essendo commissionati a Shinji Mikami, che in quel periodo aveva abbandonato la società giapponese per fondare uno studio tutto suo denominato Tango Gamework. La deriva super action intrapresa da Resident Evil 5 e 6 aveva già fatto storcere il naso a Mikami diverse volte, dove non mancò di criticare velatamente la trasformazione del franchise che ha dato vita ai survival horror. Ed è proprio mentre Resident Evil 6 si apprestava ad uscire nel Novembre 2012 che Mikami presentò la propria creatura, una sua personalissima visione, una nuova sfida con tantissime critiche verso le altre software house, Project Zwei.

La nascita di un nuovo horror?

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I primi artwork di Project Zwei erano terrificanti e regalavano già da allora tanta atmosfera. Il tocco di Mikami è riconoscibile fin da subito, egli ama molto il cinema horror che ha fatto la storia degli anni 80/90, e fa di tutto per rendere questa sua passione parte integrante della struttura di un suo progetto. Basti pensare al primo Resident Evil, super ispirato ai film di zombie di George A. Romeo, pieno zeppo dei migliori stereotipi che i registi proponevano nelle loro pellicole al cinema. Come sarebbero quindi tutti questi stereotipi riproposti in una salsa survival horror/psicologica nel 2014? Ebbene si, Project Zwei, ora diventato ufficialmente The Evil Within, è un messaggio agli sviluppatori per dimostrargli che nel 2014 i survival horror possono ancora dare tante emozioni e non fare per forza paura.

Perché prima della recensione è meglio chiarire un passaggio molto importante: The Evil Within non fa affatto paura, tanto che certe volte il nostro Mikami ed il proprio team ci giocano, letteralmente con essa,  ingannando volontariamente le emozioni del giocatore di turno. Inoltre, prima di accingermi alla recensione ho scavato un pò nel passato del nostro Mikami, scoprendo che in realtà lo spirito di The Evil Within era già ben presente in una delle sue ultime opere incompiute per Capcom, ovvero il Resident Evil 3.5 che non ha mai visto la luce oltre le fiere a tema. Resident Evil 3.5 era un nuovo punto di vista per l’autore del noto franchise, terrorizzante, corridoi claustrofobici e nemici sostanzialmente indistruttibili frutto di una mente corrotta dal virus della Umbrella. Ecco, parte di questo concept prende finalmente vita in The Evil Within in tutto il suo più malato splendore, fungendo anche da apripista ad un nuovo franchise rivale proprio per la saga di Capcom e il futuro Silent Hills di Hideo Kojima.

Resident Evil e Silent Hill? Una simbiosi che funziona

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Come anticipato in qualche riga sopra, The Evil Within è frutto di una mente che è cresciuta con gli stereotipi del horror classico. La storia è un complesso psicologico amalgamato alla perfezione, una sorta di puzzle mentale che nel corso dei capitoli si addensano per dare vita ad una mappa da seguire per arrivare finalmente alla meta dell’intera vicenda. Il protagonista è Sebastian Castellanos, un detective che nel corso della storia scopriremo avere un passato molto oscuro segnata da un tragico evento, finito suo malgrado ad avere un solo amico per la vita, la bottiglia di alcol. Durante l’indagine di un misterioso omicidio di massa, Sebastian e altri due agenti verranno attaccati da una misteriosa entità che li rinchiuderà all’interno di una prigione metafisica, dove sogni, realtà e ricordi coesistono. L’incipit della storia è apparentemente confusionale, come anche il fatto che dopo soli 5 minuti di gioco ci ritroveremo a fuggire da uno psicopatico armato di una motosega all’interno di un presunto manicomio. In The Evil Within nulla ha un senso compiuto, ma tutto ha un significato ben preciso per tutto l’arco delle 15 ore di gioco. Mikami ed il proprio team si sentono liberi di esprimere tutte le loro follie più sopite, puntando alle citazioni di vecchi film horror come The Ring, Venerdì 13, Nightmare e infine quello che più ha influenza sull’ambientazione e le creature del gioco, Hellraiser. Il mondo contorto e opprimente dei Cenobiti di Clive Barker ha chiaramente influenzato tutto l’andamento degli artisti che hanno lavorato con Mikami, generando alcune creature davvero inquietanti, come gli stessi “zombie”, la cui trasformazione è un chiaro tentativo di emulare quella di Pinhead. Chi come me è un grande amante del cinema horror, passerà tutto il tempo con The Evil Within a scovare gli infiniti easter egg sparsi per gli scenari. Ma come se la cava The Evil Within con il pad alla mano?

C’è poco da dire, Shinji Mikami non ha rinnegato il suo lavoro con Resident Evil 4 e lo stesso può dirsi anche di Silent Hill. Il titolo imposta una visuale alle spalle chiaramente ispirata a quella di Resident Evil 4, ma una volta che avremo a disposizioni tutti i comandi, ci si renderà conto ben presto di essere alle prese con un titolo che fa meno leva sull’azione di quanto si potesse pensare. In favore di uno stile molto più orientato allo stealth, gli sviluppatori hanno fatto in modo che il giocatore possa essere disperatamente alla ricerca di munizioni e armi contundenti per affrontare i nemici base, che solitamente sono diverse varianti di zombie dotati armi o semplicemente molto aggressivi fisicamente. La pianificazione prima di ogni incontro spiacevole è una fase essenziale di The Evil Within, affrontare ogni creatura direttamente può comportare quasi sempre una morte certa e la possibilità di non poter fare reali danni fisici per difendersi rende la progressione molto più tesa del previsto, sopratutto quando entreranno in scena i boss invincibili, dove si avrà a che fare con dei “trial and error” ad alto rischio. In questi frangenti il gioco predilige la fuga, con questi iconici boss che praticamente perseguiteranno Sebastian nei modi più disparati possibili, innescando anche qualche salto dalla sedia un pò telefonato. Far sentire il giocatore impotente in queste situazioni è forse la parte meglio riuscita della creatura di Mikami, dove in certi casi si rasentano picchi di gore davvero assurdi. Non starò a spoilerare perchè altrimenti vi perdereste il vero gusto di The Evil Within, ma sappiate che il cuore di Resident Evil risorge preponderante proprio durante queste fughe, dove vi saranno anche dei puzzle ambientali, che come già riportato sopra, rappresentano proprio dei “trial and errore” abbastanza ardui, sopratutto quando sarà richiesto l’impiego di armi da fuoco e le munizioni scarseggiano.

Dosare quindi le munizioni diventa realmente essenziale per poter sopravvivere in questo mondo, e senza un minimo di strategia si rischierà di trovarsi fra le mani un prodotto frustrante. Si perchè uno dei problemi di The Evil Within è la gestione dei checkpoint dinamici, dove spesso e volentieri la morte può comportare la rigiocabilità di intere sezioni di gioco. Una scelta molto discutibile per alcuni, ma un pò meno per i videogiocatori hardcore che sono cresciuti con i survival horror del passato. Se poi le citazioni non vi dovessero bastare, per i salvataggi Mikami ha optato un clamoroso omaggio ai primi Resident Evil con una stanza a tema, nascosta dietro uno specchio situato in diversi punti di ogni capitolo. Come rendersi conto di queste stanze segrete? Una dolce musica vi accoglierà al loro interno, portandovi in una misteriosa clinica gestita da una donna. In questo enorme hub si potranno potenziare le abilità, armi e inventario attraverso la spesa di alcuni punti sparsi per  il gioco.

La vera sfida per gli sviluppatori di The Evil Within è stata quella di dosare in base ai vari livelli di difficoltà i punti cardine del gioco, che si suddividono in uno schema ben preciso: esplorazione, fuga e sopravvivenza. Questi elementi purtroppo tendono ad essere messi un pò da parte verso gli ultimi capitoli dell’avventura, dove le munizioni, mine, granate e arpioni per la balestra inizieranno ad abbondare in favore di maggiori scontri a fuoco con dei nemici armati di tutto punto con fucili di precisione e addirittura pistole. Ciò regala un certo senza di deja vu al buon vecchio Resident Evil 4, che fu penalizzato proprio da una certa enfasi all’azione nelle fasi finali. Sia chiaro. in The Evil Within le sparatorie sono casi unici più rari, ma in alcuni punti Mikami preferisce invogliare i giocatori a premere disperatamente il grilletto per poter sopravvivere. Giusto per concludere il paragrafo sul gameplay, alcuni elogi o critiche vanno esposte anche per la gestione dei puzzle ambientali, delle vere e proprie trappole che omaggiano il genere splatter, e in modo diretto la saga cinematografica di Saw: l’Enigmista. Si passa dall’analisi di cervelli, chiavi da cercare nei corpi di alcuni sedicenti cadaveri o violenti sacrifici di sangue. The Evil Within è il succo del male, un concentrato di gore e violenza psicologica partorito da una mente geniale che sa come amalgamare tanti elementi appartenenti al genere horror.

Le casseforti sono il peggior nemico in The Evil Within

Il mondo di The Evil Within si potrebbe definire a metà tra quello reale e il classico Hell World di Silent Hill. E’ davvero difficile capire in quale delle due dimensioni Sebastian si trovi realmente, ma prima che tutti i nodi arrivino al pettine, Tango Gameworks ha fatto sfoggio di un level design e un monster design davvero di grande impatto emotivo. Nulla ha realmente un senso, la mente di Sebastian viene continuamente messa alla prova con alcune delle creature più inquietanti che si siano viste negli ultimi anni. Essi non possono essere uccisi, sono frutto di una mente malata che ha corrotto i ricordi dei propri cari, e fra questi si annoverano Laura e The Keeper ( Il Guardiano ). Queste due creature rappresentano le icone principali, nonchè cuore dei momenti più tesi del gioco, dove l’ansia assume il controllo delle emozioni lasciando tutto al caso e sopratutto alla fuga.

Riallacciandomi al discorso scritto in qualche riga più sopra riguardante i Cenobiti di Barker, le ambientazioni di The Evil Within vantano una grandissima varietà: si passa per i canonici cimiteri, villaggi infestati, chiese, città e tanti altri luoghi che vi lascerò al piacere della scoperta. C’è tanta sostanza e grazie all’escamotage dei ricordi, gli sviluppatori giocano con la mente di Sebastian e mischiano tantissimi di questi posti, innescando in essi lugubri sfondi sanguinolenti, corpi mutilati o persino delle macabre rivisitazioni di luoghi già visitati. Ogni elemento di The Evil Within genera sangue a dirotto e se siete facilmente impressionabili vi consiglio caldamente di cambiare titolo a prescindere. L’occhio è il vero protagonista di questo gioco, tanto contorto quando malamente affascinante persino per i cultori di Lovecraft.  A chiudere il cerchio delle atmosfere ci pensa inoltre una colonna sonora leggera, che risuona nella nostra mente durante i momenti più critici, tuttavia il grande lavoro sonoro viene sopratutto dai suoni ambientali. Suoni, versi e ombre giocano un ruolo fondamentale in The Evil Within e non saperli sfruttare adeguatamente porta anche a non godersi un prodotto basato principalmente sull’udito, abilità e tanta, tantissima pazienza. Fra i brani più affascinanti segnalo in particolare “Long Way Down” presente nei titoli di testa e nei rispettivi titoli di coda.

id Tech 5 ma che mi combini?

Purtroppo The Evil Within non è tutto oro quel che luccica, gravi sono i problemi derivati dall’aspetto tecnico e grafico del titolo. Problemi per lo più generati da un motore grafico non proprio adatto ad un titolo di questa portata. l’id Tech 5 di id Software, che è stato fonte di tanti elogi con RageWolfenstein: The New Order, viene riproposto dando il meglio di se proprio nella produzione di Tango Gameworks,  ma sono evidenti i numerosi problemi di ottimizzazione che il team deve aver incontrato durante il percorso di sviluppo. Non solo il gioco stenta a girare a 30 frame su Playstation 4, ma persino le texture, alcune ben nascoste dalle bande nere ai margini dello schermo, stentano a caricarsi una volta avviato il gioco o durante le scene d’intermezzo.

Problemi gravissimi, anche perchè parliamo di un gioco che stenta ad avere performance ottimali su una console di nuova generazione nonostante la sua natura chiaramente old-gen. L’id Tech 5 è un motore grafico relativamente pesante e se su PC riesce a surriscaldare le migliori schede grafiche, su Playstation 4 si incorre spesso in qualche bug che manda la console in crash. Questo può accadere di rado, ma durante i primi tre capitoli, il motore fa carico di numerosissime texture che sforzano talmente il gioco che il framrate finisce per stagliarsi su 20 frame al secondo. Queste problematiche, e in particolar modo il framerate, sono state in parte risolte con la prima patch del day one, ma altri problemi come il pop-up delle texture permangono ancora. Un vero peccato, anche perchè The Evil Within è forse il migliore dei tre titoli a sfruttare sapientemente l’id Tech 5, sfoggiando spesso degli scorci visivi davvero impressionanti e artisticamente ben collaudati. Molto più interessante è invece l’effetto filigrana che pervade lo schermo assieme alle due bande nere, che per quanto possano essere criticabili, danno un certo tono cinematografico al tutto.

Commento finale

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The Evil Within è un gioco che sprizza il carattere dei primi quattro Resident Evil da ogni suo poro, ma è evidente che Mikami abbia comunque cercato di creare un prodotto quanto mai diverso. L’avventura di Sebastian Castellonos non spaventa, ma vuole mettere in chiaro che i survival horror nel 2014 possono ancora dare tanto e sapere emozionare i giocatori. The Evil Within questo sa farlo molto bene, emoziona e sa quando creare ansia e tensione, perché questo è il vero concetto di un survival horror, non è detto che un titolo debba per forza spaventare i giocatori per guadagnarsi l’attenzione del pubblico. La creatura di Mikami passerà indubbiamente inosservata, sarà uno di questi tanti titoli di nicchia che troveremo presto nei cestoni, ma non è questo che conta, The Evil Within è un viaggio nella mente di Shinji Mikami, dove si erge allo scoperto tutta la sua passione per il cinema horror di stampo classico. Ma anche una critica all’industria dei videogiochi, diventata sempre più pigra e plasmata dal fenomeno degli sparatutto in prima persona. In sostanza, The Evil Within è il gioco che mi sento di consigliare a quei videogiocatori adirati dall’evoluzione degli horror moderni, e perchè no? Anche i neofiti del genere potrebbero finalmente apprezzare il Mikami del nuovo secolo, quello consapevole e maturato come il buon vino.

VOTO: 8,5

🙂

– Storia che sa come coinvolgere il giocatore –

– Atmosfere tetre e lugubri degne dei migliori horror –

– le situazioni durante il gameplay sono state architettate molto bene –

– C’è tantissima tensione –

– Ottima direzione artistica –

– Buon livello di sfida –

🙁

– A volte l’azione va in contrasto con la natura del gioco –

– Tecnicamente è stato ottimizzato molto male –

– Alcuni checkpoint penalizzano troppo la progressione –

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