Detroit: Become Human – Recensione (PS4)

Scopriamo l’ultima fatica di Quantic Dream e David Cage. Ecco la nostra recensione di Detroit: Become Human

  • Nome completo – Detroit: Become Human
  • Piattaforme – PlayStation 4
  • Developer – Quantic Dream
  • Producer – Sony
  • Distribuzione – Digitale / Disco
  • Data di uscita – 25 Maggio 2018
  • Genere – Azione/Avventura grafica
  • Versione testata – PS4

Il nuovo gioco Quantic Dream e firmato da David Cage ci porta in un mondo spostato nel futuro, dove quella degli androidi è una realtà ormai consolidata. E come tutte le “specie”, anche quella degli uomini cibernetici è destinata ad affrontare le sue lotte e rivoluzioni. Detroit rappresenta il quarto titolo della casa produttrice, che ha ormai affermato il suo modo di sviluppare avventure per i giocatori. Ci rimane solo da chiederci: questa storia è all’altezza (o addirittura migliore) delle precedenti, o Cage sta cercando di spingersi troppo in là?

La scelta di affrontare delle scelte

Il quesito di base posto da Detroit: Become Human è semplice: gli androidi sembrano provare emozioni, si comportano come noi, e allora non è forse giusto trattarli come umani, riservargli i nostri stessi diritti? David Cage non dà una risposta a questo (anche se è piuttosto palese da quale parte stia), ma fa scegliere al giocatore, continuamente, cosa credere. La scelta di affrontare un soggetto del genere in un videogioco piuttosto che in un film dovrebbe rappresentare di per sé una risposta alla trama di Detroit, in quanto, dal momento che i tre protagonisti, tutti e tre androidi, hanno la possibilità di compiere scelte che possono portarli a decine di finali diversi, è già ammesso in partenza che effettivamente si tratti di esseri coscienti delle proprie decisioni. Se pensiamo a ciò, Detroit diventa niente più che una storia di razzismo, un’enorme metafora che mette di fronte al giocatore una società emarginata, come quella degli androidi, ma che potrebbe essere qualunque altra del nostro mondo presente.

Ma quanto riesce a toccarci questa storia? Le trame dei tre personaggi, Kara, Markus e Connor, seguono ognuna il proprio sentiero, per iniziare a intrecciarsi solo nella seconda metà (se non negli ultimi capitoli) del gioco. Con Markus, il leader della rivoluzione degli androidi, il giocatore dovrà continuamente scegliere se marciare in modo pacifico, restando fermo di fronte alle minacce della polizia e impedendo che alcun umano venga ucciso, o se perseguire la strada della violenza, attaccando gli umani per rivendicare la libertà della ‘specie’ androide. Dall’altro lato c’è Connor, che invece è un androide progettato proprio per fermare questi Devianti (così si chiamano gli androidi che prendono coscienza di sé e decidono di unirsi a Markus per ribellarsi), e dovrà affrontare indagini che porteranno anche lui a confrontarsi con delle scelte: resterà fino alla fine fedele allo scopo per cui è stato programmato, o diventerà anch’egli un deviante? Infine c’è Kara, una ragazza androide la cui storia prova a essere la più toccante, ma sebbene sia quella che meglio ci fa scoprire i dettagli del mondo creato per Detroit, è decisamente la sottotrama più ricca di forzature e di momenti che rischiano di sfociare nel fastidioso e nel cliché.

Tutti i modi in cui può andare

Una delle novità più interessanti di Detroit è il diagramma che il gioco mostra alla fine di ogni capitolo, il quale illustra tutti i bivi e le scelte che il giocatore ha compiuto e tutte quelle, segnate con punti interrogativi, che avrebbe potuto compiere (o gli indizi che avrebbe potuto trovare, le azioni secondarie ecc). Molto più di Heavy Rain e Beyond: Two Souls, Detroit è pieno zeppo di alternative, sia all’interno dei singoli capitoli che in linea generale, al punto che alcuni scenari verso la fine del gioco possono non apparire affatto al giocatore che non manda la storia in quella direzione.



Questa libertà di scelta e il sistema di gameplay perfezionato, ovvero molto più simile a Heavy Rain che a Beyond, ma con diverse modifiche per renderlo ancor più intuitivo e preciso, segnano il coronamento dell’evoluzione di Quantic Dream. Solo sulle scelte di dialogo si poteva fare qualcosa di più, che non sempre sono chiare come dovrebbero, ma sicuramente Detroit è, a livello di gameplay, di motion capture, di grafica e animazioni, il miglior titolo di questo genere mai visto. Un altro encomio va al lato musicale: ai tre personaggi sono legate tre colonne sonore radicalmente diverse, affidate infatti a tre diversi compositori: quella di Kara è toccante, quella di Markus più fiera e incalzante, quasi epica, in perfetto stile cinematografico, ma è soprattutto la musica legata a Connor a colpire, una musica di suoni e melodie atipiche che legano perfettamente col design futuristico della Detroit del gioco e con la fredda mente cibernetica (e tuttavia capace di essere turbata) dell’androide Connor, aiutandolo ulteriormente a essere di gran lunga il personaggio più interessante del gioco, anche grazie al suo rapporto col vecchio e burbero tenente che dovrà accompagnare nelle indagini e con cui, immancabilmente, potrà legare oltre quanto previsto dalla sua programmazione.

La forza del messaggio di Detroit

E’ impossibile non accorgersi, anche solo giocando le prime ore della campagna, che Detroit vuole trasmettere un forte messaggio e far fare un esame di coscienza al giocatore. Tutti sappiamo che il modo giusto per protestare è quello non violento, eppure Detroit ci dà la possibilità di farlo come di non farlo; tutti sappiamo che il razzismo è sbagliato, eppure Detroit trova il modo di farcelo mettere in dubbio, sostituendo a una razza o religione un tipo di esseri che ancora non esistono, e che data la loro natura di macchine possono essere considerati non-vivi. (E in questa discussione non mi addentro, poiché il punto è semplicemente che la sceneggiatura stessa di Detroit rende inequivocabile il fatto che gli androidi, in quel mondo, siano effettivamente vivi). Ma David Cage vuole spingersi oltre: uscendo dalla partita il gioco potrebbe sottoporci a questionari sulla moralità, o farci fare delle domande dalla ragazza androide che ci accompagna nel menu principale, come “Noi siamo amici?”. Il gioco non nasconde che tutto ciò che il giocatore “dice” anche fuori dal gioco viene registrato per fini statistici, e allora è chiaro quel che Cage sta facendo.

Che sia giusto o no, che sia esagerato o poco veritiero, questo modo di porsi è a mio parere un grosso traguardo per Detroit, non come gioco in sé, ma come prodotto rappresentante l’industria videoludica, che ha certamente bisogno di toccare temi sempre più profondi in modo sempre più forte per affermarsi come il mezzo di comunicazione e artistico che è. Detroit e la sua forte (e a volte forzata) moralità possono non piacere, ma ci troviamo davanti a un titolo che dimostra di avere una grande importanza come opera interattiva.


Commento finale

Detroit: Become Human rappresenta prima di tutto il perfezionamento del percorso di tecnica, grafica e gameplay iniziato con Heavy Rain. A livello di scrittura e di trovate statistiche siamo invece di fronte a un’opera che, sebbene tocchi temi già visti e a volte forzi troppo la mano per suscitare emozioni con cliché e situazioni poco verosimili, fa qualcosa di grandioso, ponendo il giocatore di fronte a scelte difficili e, virtualmente, con conseguenze cruciali. La questione profonda indagata dalla storia è portata avanti magistralmente da personaggi come Connor, e con l’enorme sostegno di comparti eccezionali di musica, design, grafica, illuminazione e regia cinematografica.

Come gioco è sicuramente emozionante, rigiocabile anche decine di volte e sempre interessante, anche con una graditissima sezione di extra contenente musiche, making of, cortometraggi e artworks. Quello di Detroit è un mondo vivo e coerente, esplorato da Quantic Dream con i soliti piccoli difetti, ma un mondo che tutti i giocatori dovrebbero esplorare almeno una volta.

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