Pillars of Eternity 2 Deadfire: Recensione (PC)

Scopriamo Pillars of Eternity 2 Deadfire. Ecco la nostra recensione!

  • Nome completo – Pillars of Eternity II: Deadfire
  • Piattaforme PC, disponibile nell’ultimo quarto del 2018 anche per Xbox One, PlayStation 4, Nintendo Switch
  • Developer – Obsidian Entertainment
  • Producer Obsidian Entertainment
  • Distribuzione – Digitale / Disco
  • Data di uscita 8 Maggio 2018
  • Genere – CRPG isometrico

Sebbene i parametri di giudizio siano molteplici e gli elementi da considerare per effettuare un paragone siano infiniti, si potrebbe fare una ripartizione più o meno netta in due tipologie distinte di RPG.

La prima include tutti i titoli che sono mossi dalla quest principale assegnata al protagonista, che sviluppano la loro trama e la loro profondità attorno a tale colonna portante; il giocatore è il Prescelto, mosso dalla responsabilità di salvare il mondo che non può ignorare, e l’umanità attende con il fiato sospeso il risultato delle sue gesta eroiche finché, in ultimo, il suo spirito e la sua audacia non prevalgono sul pericolo. Le missioni secondarie possono essere portate a termine liberamente, ma l’impressione che si stia rimandando una decisione molto più importante resta sempre a sovrastare ogni azione. Chiunque abbia giocato al primo Pillars of Eternity capirà benissimo di cosa sto parlando.

La seconda categoria, al contrario, raccoglie tutti gli RPG che hanno sì una missione fondamentale, che nella maggior parte dei casi fornisce la motivazione che dà inizio all’avventura, ma il desiderio, la spinta, la necessità di portare a compimento il compito assegnato non sono altrettanto forti; l’obiettivo è sempre lì, ma attende paziente che il personaggio protagonista esplori, conquisti, sconfigga, che completi decine di missioni secondarie, che scopra segreti e riveli chiavi d’interpretazione differenti da quella che poteva apparire scontata all’inizio del viaggio.

 

UN MONDO VIVO E IN TUMULTO

Neanche il Watcher può fare a meno di restare in silenzio quando Berath lo comanda.

È a questa seconda categoria che appartiene Pillars of Eternity II: Deadfire. Una nuova minaccia è comparsa per Eora, una minaccia dal nome familiare per chi ha già completato il primo capitolo, ma stavolta il Watcher è scaraventato con prepotenza in un’ambientazione estranea — l’Arcipelago di Mortafiamma, nient’altro che il Deadfire che fa da titolo al prodotto. Nel Deadfire, le regole cambiano totalmente: il giocatore, sebbene si ritrovi a vestire gli stessi panni mistici e divini, è circondato da popolazioni e luoghi completamente nuovi, stretto nella morsa delle differenze culturali e politiche di un arcipelago che sta via via soccombendo alla colonizzazione.

Mentre il primo Pillars ruotava attorno alla questione sulle anime, gli dei e la loro natura, ponendo in secondo piano la realtà umana, il successore pianta fermamente i piedi per terra. Gli dei, da misteriosi e irraggiungibili, diventano capricciosi, prepotenti e poco capaci, rivelando la loro vulnerabilità al Watcher nel momento stesso in cui scelgono di affidargli la loro missione. Si vedono costretti a ricorrere a sotterfugi e minacce affinché il loro volere coincida con quello del protagonista, e il risultato è un’esperienza più controversa, più matura, che lascia maggiore libertà non solo d’azione ma anche di interpretazione al giocatore che sceglie di immergersi in questo universo. Questa volta sono gli dei a dover implorare gli uomini.

Si potrebbe dire che la vera protagonista di Deadfire sia la riflessione politica. Già il primo Pillars of Eternity si prendeva molto sul serio — in alcuni momenti forse un po’ troppo — e il suo successore non è affatto da meno. Il mondo è pieno di intrighi, di fazioni, favori, richieste, promesse; è un universo vivo che pulsa per far riflettere il giocatore sul colonialismo, sull’abuso e sulla sottomissione dei popoli e le sue conseguenze, in cui quasi non farebbe differenza la presenza o l’assenza del Watcher se non fosse per quell’obiettivo principale di cui è facile dimenticarsi. Il Watcher è debole, lontano da casa; non gode più del rispetto e della credibilità che gli erano dovuti sul continente, poiché l’arcipelago è già in tumulto prima che un dio volubile scelga di farne il proprio campo di gioco. Il ruolo del protagonista non sembra fondamentale agli occhi delle popolazioni autoctone, che hanno problemi più immediati di cui preoccuparsi per non morire di fame o essere schiacciati dall’ambizione dell’ultimo principe arrivato.

Le fazioni che si sceglie di favorire nel corso della partita, tuttavia, troveranno sempre il modo di mostrarsi riconoscenti per i favori svolti. Il finale del gioco presenta notevoli differenze basate proprio sui rapporti che il Watcher sceglie di intrattenere — sempre nel caso che voglia intrattenerne.

UN SISTEMA FAMILIARE MA RAFFINATO

Per coloro che hanno completato il primo capitolo sarà possibile importare lo stato del mondo all’inizio della partita, riscontrando i risvolti delle proprie scelte non solo nelle fasi iniziali ma anche nel corso dell’avventura; sebbene il Watcher sia lo stesso, tuttavia, non è stata ancora implementata la funzione di importazione dell’avatar personale, per cui si procederà in ogni caso alla creazione del personaggio — davvero in tutto e per tutto simile alla compilazione di una scheda di un rpg cartaceo — che già include un accenno al sistema di combattimento che si utilizzerà più avanti.

Tale sistema di combattimento non è altro che la versione snellita del sistema di combattimento presente in Pillars of Eternity. Con ciò non si intende che sia stata semplificata; semplicemente sono state rese più intuitive alcune meccaniche che potevano risultare complesse a un primo sguardo. Il combattimento è ancora una volta in tempo reale, con la possibilità di mettere in pausa e pianificare con cura le mosse del party nella sua interezza.

Riposare è diventato più semplice, è stato migliorato il sistema delle ferite gravi ottenute dopo la perdita dei sensi in battaglia, e gli incantesimi e le abilità — che nel primo capitolo disponevano di un numero prestabilito di utilizzi prima di dover riposare per utilizzarle di nuovo — sono diventati per la maggior parte per encounter piuttosto che per rest — in altre parole, hanno un numero di utilizzi limitato all’interno di ogni incontro, ma non hanno bisogno di un riposo per essere riutilizzate in un secondo combattimento.

Anche gli spostamenti tra zone sono stati migliorati, con una conseguente riduzione notevole dei caricamenti — che davvero costituivano una grande pecca del primo capitolo. La meccanica dei movimenti via mare è intuitiva e intrigante, e il combattimento in nave è gestito al pari delle scene narrate e illustrate che sono diventate il marchio di fabbrica di Pillars of Eternity, che lo rendono quasi un RPG ibridato a un Choose Your Own Adventure.

Il gioco dispone di diversi livelli di difficoltà — che possono essere anche modificati durante la partita, per la maggior parte — partendo dal più basso, Story, e finendo al terrificante Path of the Damned. Obsidian accontenta ogni tipo di giocatore, permettendo a chi non desidera concentrarsi sulla forza del party di proseguire nel gioco focalizzandosi esclusivamente sulla trama. Un appunto importante da fare per quanto riguarda questa scelta è che, se si sceglie di giocare a difficoltà Story o Relaxed, tutto il mondo esplorabile sarà impostato in modo da seguire la progressione del livello del protagonista. Potrebbe non essere una conseguenza evidente nell’immediato, ma l’effetto è quello di rendere il mondo completamente accessibile sin dai livelli più bassi, intrecciando la trama in modi imprevisti e offuscando involontariamente il filo della narrazione.

 

UNA TRAMA COMPLESSA… FORSE TROPPO

E il filo della narrazione sa essere molto ingarbugliato già senza interventi esterni. Il numero elevatissimo di quest secondarie disponibili e acquisibili contemporaneamente, abbinato a una libertà di esplorazione che potrebbe far da rivale a un noto capitolo Bethesda, rendono la navigazione all’interno del mondo davvero complicata se non si applica un criterio ai movimenti del personaggio. La missione principale viene sommersa da piccoli, medi e grandi compiti con conseguenze più o meno notevoli; c’è moltissimo da fare, eppure poco che davvero si riconnetta alla trama di fondo e al ruolo del Watcher su Eora. In alcuni frangenti non è difficile persino dimenticare perché ci si trovi specificamente su quest’isola e si stia cercando proprio questo artefatto, proprio perché alcune quest sembrano peccare un po’ di profondità — in maniera non dissimile dalle quest secondarie che si possono trovare affisse a una bacheca in una locanda qualsiasi.

Nel primo capitolo, il Watcher era posto dinnanzi a un culto sconosciuto, alla sparizione di anime, a fazioni potenti schierate a favore di una divinità; la narrazione era epica, puntava alla grandiosità dell’alto fantasy; nel secondo, di contro, il Watcher è gettato in un tifone di conflitti e contrasti, in un clamore di ostilità commerciali il cui rumore sovrasta persino quello dei passi pesanti del dio che è necessario fermare. Il gameplay è più frenetico ma anche dai risvolti meno intensi; non si tratta di un’esperienza spiacevole in alcun modo, però è bene sottolineare che si tratta di un’esperienza diversa da quella che ci si potrebbe aspettare.

I giocatori fedeli di Pillars, ad ogni modo, saranno felici di incontrare dei volti conosciuti nel corso del loro vagabondare, ma sapranno purtroppo anche cosa aspettarsi dalle interazioni della compagnia. La scelta dei compagni d’avventura include sia personaggi già noti che nuovi arrivati, ma purtroppo le interazioni con il party sono limitate a poche istanze, principalmente inerenti alle quest personali di ognuno. Ogni companion ha una propria personalità e un proprio indicatore che mostra il rapporto con il Watcher, e gli interventi da parte loro non mancano quando il protagonista sceglie di agire in un modo piuttosto che in un altro — ma sono limitati a frasi lapidarie o a gesti eloquenti, e non sono approfonditi più dello stretto necessario. In altre parole, il carisma del party lascia un po’ a desiderare, ma non è comunque difficile affezionarsi ai compagni d’avventura, nuovi o vecchi che siano.

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COMMENTO FINALE

Pillars of Eternity II: Deadfire non è un RPG da consigliare a chiunque. È ricco di elementi attentamente studiati che fanno parte di un ingranaggio ben oliato, ha una trama solida e un inizio più incalzante rispetto al primo capitolo, e brilla per quanto riguarda l’ambientazione e lo sviluppo realistico delle relazioni tra culture differenti, il suo punto forte; tuttavia l’ampiezza di cui i creatori vanno così fieri può risultare dispersiva, alcune meccaniche più avanzate tediose da imparare e sfruttare per i non avvezzi al genere, e l’elemento politico e sociale che colora il quadro generale è un argomento insolito per un CRPG per molti versi vecchio stampo. Nonostante sia un secondo tentativo migliorato sotto molti aspetti rispetto al primo, non raggiunge l’apice che si era ancora una volta ripromesso di sfiorare.

 

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