Layers of Fear 2 – Diario di un orrore in crociera

Un horror e thriller psicologico che, sperduto nell’Atlantico, quasi va alla deriva: la nostra recensione di Layers of Fear 2!

  • Nome completo – Layers of Fear 2
  • Piattaforme  Windows
  • Developer  Bloober Team
  • Publisher Gun Media
  • Distribuzione – Digitale
  • Data di uscita  28 Maggio 2019
  • Genere – Horror, thriller psicologico

È stato faticoso recensire l’ultima fatica del Bloober Team polacco. Layers of Fear 2, un titolo che dopo il gran successo del suo predecessore si preannunciava assolutamente imperdibile per i fan degli horror, ha purtroppo ceduto sotto il peso dell’anticipazione e delle aspettative. Si tratta di una recensione che vuole esprimere tutta la delusione provata nello stringere il controller tra le mani, increduli, davanti a una scena finale che mediocremente corona un viaggio sembrato troppo lungo.

È importante che specifichi una cosa, prima di cominciare. Sebbene la recensione possa essere pienamente compresa anche da chi non ha alcuna precedente esperienza con i titoli del Bloober Team, saranno frequenti i paragoni con i due giochi che hanno preceduto quello che oggi è oggeto d’analisi: Layers of Fear e _observer.

IN MEZZO ALL’OCEANO, DA SOLI… FORSE

Il giocatore indossa i panni di una figura ambigua, più ambigua del pittore; si tratta di una persona ingaggiata per recitare in una rappresentazione cinematografica drammatica. Il regista, per far sì che il protagonista riesca a calarsi perfettamente nel personaggio, prepara i piani inferiori di una lussuosa e imponente nave da crociera e li riserva all’attore, in modo che possa prepararsi a dovere prima di interpretare la parte più importante della sua carriera.

Il ruolo dei quadri e delle memorie è rivestito questa volta dai manichini, il cui compito è quello di creare un’atmosfera tesa e innaturale. I movimenti sconnessi delle giunture, i volti senza espressione — i manichini sono da sempre uno strumento caro al genere, per la loro capacità di generare un forte senso di inadeguatezza e tensione nello spettatore. Quasi umani, ma non abbastanza.



Eppure questa volta l’esperimento, forse proprio perché basato su un mezzo così comune e frequente, non ha avuto successo: il posizionamento dei manichini all’interno del titolo non è intelligente, non intimorisce — non fa paura. Certo, i primi incontri con tali figure raggiungeranno l’obiettivo sperato, ma la loro presenza diverrà così frequente nel corso dei cinque atti da non costituire più, a un certo punto, un elemento terrificante. La possibilità di sviluppare una connessione psicologica con il manichino, di evidenziare la somiglianza, nella sua essenza, con l’attore, non è neppure considerata. La loro versatilità, la loro duttilità, l’assenza di volontà propria nella raffigurazione — si tratta di aspetti evidenti, ma lasciati sottintesi. Laddove i quadri erano lo specchio della psiche dell’artista, i manichini vengono rilegati a un ruolo secondario nel viaggio dell’attore, manichino a sua volta.

QUALCHE DETTAGLIO SUL GAMEPLAY

Gli enigmi sono esageratamente semplici. A volte ho perso più tempo del necessario a provare prima soluzioni più elaborate, pensando — sperando? — che gli indizi così onnipresenti fossero false piste. E invece no: questa volta il Team non è riuscito a trovare l’equilibrio tra la difficoltà dei puzzle e il progresso spedito del gioco — anche se forse ciò è un bene, in fin dei conti, vista la lentezza generale di numerosi passaggi. Tutto ciò accompagnato da un mostro, l’antagonista del gioco, che riesce a fatica a far paura, e solo in un paio di occasioni.

Il gioco presenta ben cinque — cinque! — tipologie di collezionabili diverse. Ognuno di questi può essere inavvertitamente lasciato indietro, poiché la loro posizione non è sempre evidente; il gioco però fornisce, al termine della prima partita, la possibilità di rigiocare ogni atto separatamente, in modo da poterli cercare e raccogliere tutti pian piano senza dover cominciare da capo. Di questi collezionabili, le diapositive e le registrazioni possono anche essere visionate e ascoltate, rispettivamente, per avere qualche informazione in più su una trama che, bisogna ammetterlo, è un po’ scarna e scontata, intuibile a grandi linee già dagli elementi forniti nel primo atto. L’influenza delle scelte del giocatore sul finale appare evidente solo in rari momenti.

DELLE SCELTE STILISTICHE CONTROVERSE

Sicuramente il piano grafico del gioco non è il suo punto di forza. Il Team, sicuro di sé dopo precedenti successi, lo ha trascurato per concentrarsi sul resto del titolo. È così che ci si ritrova davanti a un gioco che sembra uscito il giorno dopo il suo predecessore, con comandi legnosi che spesso vengono resi frustranti dagli spazi angusti in cui ci si ritrova a correre — solo per restare incastrati in un dettaglio sul pavimento o a un mobile sporgente.

La scelta che avrebbe potuto rivelarsi interessante è quella di utilizzare il bianco e nero per determinate scene — si tratta, dopotutto, dell’avventura di un attore — ma l’insistenza con cui tale filtro viene applicato, in particolar modo durante il secondo atto, è coraggiosa: privare il gioco del colore può contribuire a creare un senso di angoscia, ma farlo per periodi prolungati in ambienti che si somigliano moltissimo tra loro trasforma presto questa scelta artistica nell’ennesima fonte di frustrazione e incredulità per il giocatore. Com’è possibile che i creatori non si siano accorti di quanto rapidamente un mezzo simile perda il suo impatto, se viene abusato? Dalla lentezza con cui si procede negli atti iniziali sembrerebbe quasi che il Team non si sia preoccupato di testare il proprio stesso gioco.

Bloober ha sempre saputo usare a suo vantaggio il colore. Lo ha dimostrato in Layers of Fear, lo ha dimostrato in _observer, ne è perfettamente consapevole e altrettanto consapevoli ne sono i suoi fan. È per questo motivo che, una volta giunti al quarto atto, si tira finalmente un sospiro di sollievo. Dopo le prime ore passate a brancolare su di una nave monocromatica, il rosso è la chiave con cui viene finalmente spezzata la monotonia — ma è troppo tardi. Moltissimi giocatori si sarebbero arresi alla frustrazione in scala di grigi dei primi tre atti. Non nascondo che la tentazione è stata forte anche per me.

IL DISAPPUNTO DI UNA FAN

Questa è una recensione molto sofferta. Layers of Fear 2 è un gioco mediocre, un gioco che non apporta nessuna innovazione al suo genere, dalla trama convoluta e lenta, dalle meccaniche sporche e dalla grafica già vecchia il giorno dell’uscita — ma non è certamente l’unico. Non è certamente il primo, e certamente non sarà l’ultimo.

Cos’è che lo distingue dai tanti, allora? Perché soffermarsi su questo titolo in particolare?

Forse sono state le mie personali aspettative a non farmelo apprezzare affatto. È stato deludente sotto ogni aspetto, ma ciò che veramente lascia punto il giocatore sono le mute promesse dei titoli che l’hanno preceduto. Layers of Fear e _observer possono vantare una storia accattivante, un momentum che lascia con il fiato sospeso fino all’ultima scena; non è la quantità di jumpscare a rendere un titolo horror degno di definirsi tale.

L’ansia, l’angoscia dell’imboccare un corridoio stretto, il timore di una curva buia — sono meccaniche sapientemente adoperate nei titoli precedenti, in contrapposizione all’abuso sconsiderato a cui sono state sottoposte in questo seguito, e ciò fa la differenza. L’orrore e il terrore dei colori — insistenti e assordanti nel primo, ingarbugliati e tormentati nel secondo — che è stato il marchio di fabbrica del Team in tutti e due i titoli pubblicati, è presente solo in minima parte nel terzo, che a confronto sembra quasi muto e cieco. L’esplorazione di ambienti la cui percepita ripetitività contribuiva a generare tensione nel giocatore è sostituita qui da un percorso allo stesso momento labirintico e obbligato: solo una porta, tra le quindici che affacciano sul corridoio, si aprirà al momento dell’interazione. La monotonia regna sovrana.

Se un atto di creazione inizia sempre con un atto di distruzione, Layers of Fear 2 per il momento è ancora fermo al primo passo.

Commento finale

Gli enigmi dalla semplicità disarmante, la trama riempita da scene filler, l’aspetto e le meccaniche antiquati — questo titolo non presenta molti incentivi per il potenziale acquirente e giocatore. Si tratta di un horror che ci prova — con metafore cariche di significato, strumenti dal potenziale terrificante — ma faticosamente fallisce, ricadendo in cliché e perdendo la profondità che quasi sfiora, e di certo non saranno i collezionabili infiniti a rendere più intrigante il viaggio a bordo della nave da crociera. Se la domanda da porsi all’acquisto di un gioco horror è “mi farà paura?”, la risposta di Layers of Fear 2 sarà tutt’altro che soddisfacente.

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