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Conosco abbastanza bene Valentina Gravili. Almeno artisticamente parlando. “La balena nel Tamigi” e “Arriviamo tardi ovunque” sono due dischi che ho ascoltato e riascoltato, e poi ancora una volta. Insomma, se li avessi avuti in vinile li avrei consumati. Letteralmente. Qualche anno fa ho potuto apprezzarla anche dal vivo. Era appena uscito “La balena nel Tamigi”. Con mia piacevole sorpresa, le tinte psichedeliche delle canzoni cedettero il posto ad arrangiamenti scarni e “tosti”, come lì defini lei stessa. Intensi. Quella stessa intensità che contraddistingue la sua fatica più recente, “Arriviamo tardi ovunque”. E che non è andata persa nella perfomance al Marianiello Jazz Cafè.
Tutto questo per dire che: se c’è una cosa che non mi ha sorpreso del concerto, potete star certi che quella è stata l’intensità profusa. A sorprendermi invece è stata la capacità di rendere quella stessa intensità in modalità trio acustico. Bravura sua, di Valentina: che canta (e come canta), accarezza la chitarra ritmica, si destreggia con quella Autoharp tanto cara a PJ Harvey; e dei musicisti che la scortano: Manlio Torrioni, chitarra solista e abile tratteggiatore di scenari blues, e Max Baldassarre, che percuote il timpano, tamburella, stuzzica le campane tubolari: un factotum, in pratica.
Uscito solo a inizio 2013, “Arriviamo tardi ovunque” è giustamente proposto nella sua interezza, con modifiche minime all’ordine della tracklist. Due sono le incursioni nel passato più o meno recente: Avvenne ad un tratto, estratto da “La balena…”, e Masticando nuvole, che ci riporta indietro nel tempo, a quel 2001 che vide la pubblicazione di “Alle ragazze nulla accade a caso”, il suo esordio. E vi è spazio anche per una chicca, la cover de La vedova bianca. Che potrebbe far storcere il naso a chi intende la cover come stravolgimento, perché mostra un eccessivo rispetto della versione originale firmata Afterhours. De gustibus, ovviamente.
E prima di concludere, per evitare l’imputazione di partigianeria, una piccola critica. Il concerto è durato un’ora (e poco più). I concerti non possono durare un’ora (e poco più). Almeno non quelli in cui si gode (vai alla voce: “concerto della madonna”). Dovrebbero vietarlo per legge. Per non lasciare l’amaro in bocca ai fan. E per evitare che questi compiano atti sconsiderati. Come salire sul palco e costringere gli artisti a continuare per almeno un’altra oretta. Pensiero che, giuro, stava per impossessarsi della mia mente. La prossima volta, giuro che lo faccio. La prossima volta.
Foto di Christian Gargiulo
Christian Gargiulo
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