The Sinking City – Sulla soglia della follia, con l’acqua alla gola

Spero con tutto il cuore che sia un’alga quella attorno alla mia caviglia… The Sinking City, la recensione di CartoonMag!

  • Nome completo – The Sinking City
  • Piattaforme  Windows, PlayStation 4, Xbox One, Switch (prossima uscita)
  • Developer  Frogwares
  • Publisher Bigben Interactive
  • Distribuzione – Digitale
  • Data di uscita 27 Giugno 2019
  • Genere – Survival horror, azione

L’ultimo periodo si è rivelato colmo di promesse per i fan dell’horror lovecraftiano; the Sinking City è la risposta di Frogwares alla richiesta di un gioco investigativo dal sapore di Cthulhu, e per molti aspetti è soddisfacente. Dopotutto, stiamo parlando degli sviluppatori de Le Avventure di Sherlock Holmes, quindi non proprio gli ultimi arrivati a brandire la lente d’ingrandimento.

Il risultato è un’interpretazione piuttosto originale — non perfetta, ma intrigante quanto basta.

Come un burattino mosso da fili di sogno

Il giocatore veste i panni del detective Reed, un uomo dal passato e dal sonno tormentati, dalla pelle bianca e senza alcun legame degno di nota… familiare? Tra gli aspetti innovativi sicuramente the Sinking City non può annoverare il suo protagonista; è vero che il materiale originale da cui traggono ispirazione questo tipo di storie è stato scritto da un autore di un secolo fa — con tutto il bagaglio culturale e le problematiche annesse — ma è anche vero che l’ambiente videoludico è in costante evoluzione, e tra le numerose “licenze poetiche” di certo non avrebbe stonato la scelta di un personaggio più originale.

Il resto del cast è, al contrario, sorprendentemente peculiare: non solo si basa su diversi racconti di Lovecraft ben amalgamati, ma le interazioni con gli NPC parlanti sono molto diverse tra loro sul piano narrativo. Certo, parlare con quattro uomini di colore e non riuscire a distinguere l’uno dall’altro perché utilizzano lo stesso modello rompe abbastanza l’immersione, ma the Sinking City non fa decisamente della parte grafica il suo punto forte. Meglio non far menzione delle texture…

Particolare è anche il modo in cui i materiali fonte sono stati combinati tra loro: non sono solo i personaggi a citare racconti differenti, bensì il gioco intero è basato su una fusione discretamente coesa di varie trame. È un nuovo modo di approcciarsi all’horror lovecraftiano, ma narrativamente funziona meglio di quanto ci si aspetterebbe.

Una grande mappa da percorrere a piccoli, piccolissimi passi

Analizzando l’aspetto tecnico del gioco, ci sono diversi difetti che risaltano immediatamente. Innanzitutto, sebbene l’ambientazione sia ben curata e atmosferica, lo stesso non si può dire degli NPC che camminano per le strade di Oakmont come se nulla fosse, mentre un’inondazione cataclismica e un’invasione di mostri mette in subbuglio la cittadina. Se da un lato i personaggi con cui si interagisce trasmettono bene il senso di tensione, torbidità e caos, dall’altro il resto dei modelli visti per le strade e negli edifici è completamente anonimo e dalla calma surreale.

Reed dispone di una mappa completa della città, che si divide in diversi distretti e su cui è possibile posizionare dei segnapunti di diverso tipo per identificare luoghi specifici; sono presenti dei punti di viaggio rapido — identificati da cabine telefoniche rosse nella maggior parte dei casi — ma in generale lo spostamento è estremamente lento. L’investigatore può correre, ma si muove comunque con una lentezza disarmante; poiché la città è parzialmente sommersa, bisognerà alternare gli spostamenti a piedi con quelli via motoscafo, i cui controlli lasciano molto a desiderare.

Il menu è estremamente curato; discutibile è però la scelta di una mappa a bussola piuttosto che di una minimappa nell’angolo, poiché ci si sposta in un ambiente disseminato di ostacoli e di edifici che rendono la bussola pressoché inutile — il giocatore si ritroverà costretto a controllare costantemente la mappa estesa per identificare le zone percorribili. Senza mentire, mi è capitato qualche volta di pensare “ma gli sviluppatori hanno effettivamente giocato il titolo dopo aver optato per questo tipo di indicazioni?”

Come un burattino… no, letteralmente, questa volta

Reed è lento. Lento nei movimenti, lento a mirare, lento in generale a rispondere agli input del giocatore. I controlli del titolo sono di qualità mediocre, e per un gioco che mette tanta enfasi sull’invasione e sulla conseguente lotta contro eldritch horrors venuti dal mare, sparare è dannatamente frustrante. Nonostante la salita di livello e l’acquisizione di nuove capacità, il combattimento resta un gran punto debole di the Sinking City.



Se a livello narrativo le interazioni con gli NPC sono intriganti, la monotonia delle meccaniche è palpabile. Ottieni una quest, parla con il prossimo NPC, fagli un favore per ottenere le informazioni che ti servono, ottieni la successiva quest. Tutto qui. Il gioco nella sua interezza si basa su dialoghi criptici, missioni dalla parte tecnica ripetitiva e informazioni che forniscono più domande che risposte, obbligando il giocatore a ricominciare il ciclo da capo. I mostri sono sempre uguali — ne esistono pochi tipi — e in nessun momento ci si ritrova ad affrontare qualcosa di simile a un “boss.”

Rispondere in un modo o nell’altro a un NPC otterrà, nella maggior parte dei casi, lo stesso risultato. Sono pochi i bivi davvero significativi, e solo le deduzioni del personaggio influenzano il gioco in questa o quella direzione. Combinare gli indizi e giungere a conclusioni specifiche in base all’idea del giocatore è l’unico modo che veramente si ha di influenzare la trama del gioco, ma non si tratta in alcun modo di una meccanica innovativa.

Ben implementate — al contrario di altri titoli di stampo lovecraftiano — sono le meccaniche di psicometria e di ricostruzione delle scene del crimine. Il protagonista dispone di capacità sovrannaturali che gli permettono di vedere alcune scene connesse agli oggetti disseminati sui luoghi chiave, nonché di ricostruire nitidamente i passaggi che si sono susseguiti negli ambienti in cui sta investigando. In the Sinking City, quest’ultima capacità è denominata Palazzo Mentale, ma è comunque reminiscente di altri titoli precedenti.

Una gemma grezza. Molto grezza

The Sinking City si approccia al suo genere in maniera abbastanza originale da riuscire a emergere dal resto dei videogiochi legati al pantheon lovecraftiano. Collega bene i materiali di cui dispone, risultando in una trama ricca di citazioni per gli appassionati ma totalmente nuova e interessante nonostante i difetti tecnici che le fanno da contorno.

Il sistema di crafting è ben pensato, ma quasi ridondante — se è possibile trovare direttamente dei proiettili, è inutile fornire anche bossoli e polvere da sparo da combinare automaticamente — e la gestione della sanità mentale è interessante — sebbene le allucinazioni soffrano di una qualità grafica infima che le rende più comiche e grottesche che veramente terrificanti. I momenti di puro terrore sono pochi — seppur efficaci, come durante l’immersione — ma il gioco compensa gestendo bene i momenti di forte tensione.

Si tratta di un titolo che potrebbe degnamente rappresentare un pilastro del suo genere, ma che manca della rifinitura necessaria per spingersi troppo oltre la sufficienza. Sicuramente beneficerebbe di un seguito — l’ambientazione lo accoglierebbe senza alcuna difficoltà, e sarebbe un ottimo modo per sopperire alla mancanza di finali veramente soddisfacenti — che possa veramente far brillare la fantasia e le capacità degli sviluppatori. Al contrario de Il Richiamo di Cthulhu (recensito pochi mesi fa), the Sinking City è promettente, dall’inizio alla fine. Ricade nella famigerata categoria di videogiochi che avrebbero fatto gran tesoro di sei mesi in più di lavoro, soprattutto data la gran quantità di bug e glitch presenti nel gioco al lancio.



Commento finale

Le idee ci sono. Una bella trama, personaggi convincenti, un’ambientazione fedele alle fonti ma originalissima nella resa — the Sinking City ha tutte le carte in regola per essere raccomandato agli amanti di orrori cosmici tentacolati. Nonostante i momenti frustranti che caratterizzano alcune parti del gameplay, si tratta senza dubbio di uno dei migliori giochi lovecraftiani attualmente in commercio, e chissà — magari Frogwares abbandonerà Sherlock Holmes e si convertirà al culto, migliorando con un seguito le basi già solide di questo titolo.

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