Non è semplice scrivere di un album che ha diverse sfaccettature: un album che nei suoi momenti solari, quelli puntati alla forma canzone, piace e convince; mentre, nei momenti più riflessivi e malinconici, diventa po’ stancante. Un album è simile al vino o al buon formaggio: bisogna farlo stagionare per assaporarlo a pieno nella sua interezza.
Sto parlando dei Public e del loro secondo lavoro: “Oracolo”, pronto a inaugurare il roster di Lavorare Stanca. Prodotto (e si sente) dal buon Fabio De Min dei Non Voglio Che Clara, rappresenta la vera e propria (ri)partenza, dopo l’autoprodotto “Lunario”. Inserito il cd nel lettore, ho subito pensato: “Cavolo che appeal questi!”. Sin dalla prima “Canto per scongiurare” si respira un’aria limpida, piuttosto rilassata (nonostante i testi un po’ incomprensibili); come farebbe un Paolo Benvegnù sotto tranquillanti. Le due tracce seguenti Tra gli amici e Vedi Parigi, riuscitissime anch’esse, colpiscono per il ritmo azzeccatissimo e, soprattutto la prima citata, per una cantabilità quasi radiofonica. Piace anche la successiva Notte caleidoscopica e stupisce il fare punk della successiva title-track. Poi, continuando, cala il buio: meno ritornelli, ciglia abbassate, la forma dei brani scade e quasi si perde. Ma qui ci casca l’asino: dopo ripetuti ascolti si trova il succo, saporitissimo, e lo si va a scovare nei singoli momenti, nella maniera più semplice immaginabile: l’aria pensierosa di Massacrarsi fino a perdere i sensi (qui, in tutta onestà, si nota anche la bravura e il bellissimo cantare del frontman Paolo Beraldo); le schitarrate rabbiose di Nel 2020; il giro gommoso del basso in prima linea e il piglio quasi spudorato di In questo incanto; i fiati della finale Storia di una ballerina, che sanno appunto d’addio, anche se io spero significhino un “arrivederci e a presto”.
Arrivederci sì, sperando in un rincontro con qualche ritornello in più. La formula così sarà perfetta.
Davide Ingrosso per Mag-Music
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