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Cesare Basile vive ormai da diversi anni a Milano; ma il bisogno di ritornare, almeno metaforicamente, alle origini, si sente e s’insinua nelle sue corde, musicali e non. Già il precedente “Storia di Caino” dimostrava la preponderante voglia di andare a scavare nel passato e di suonare ancora più terrigno, eliminando quasi del tutto le coinvolgenti sferzate elettriche cui ci aveva abituato. Bene, quest’ultimo “Sette pietre per tenere il diavolo a bada” ne è il seguito, o meglio, la conferma di tale presa di posizione. Ed esulteranno i vecchi (e nuovi) fans di De Andrè.
Un suono rustico e rudimentale di chitarra acustica, il lento e monotono incedere delle percussioni, i saltuari innesti di armonica e fiati vari costituiscono l’iniziale L’ordine del sorvegliante, dove il Nostro esprime e dimostra tutta la sua poeticità: “Che alle volte una canzone è un asino che raglia, e l’amore è una faccenda troppo delicata per lasciarla a voi”. Stessa linea segue la successiva Il sogno della vipera; al contrario, in parte, de L’impiccata, dove, tra nervosismi comunque acustici e cori dietro stanti, appare un ritornello che, grazie all’alzarsi dei toni vocali, sa essere a suo modo decisamente emozionante: “negandomi al contatto, sposandomi ai croccicchi, aprendomi la faccia, senza interrompervi”. Carnale, legato oltremodo alla terra e alle passioni popolari, pare quasi che i suoni scarni e i violini in primo piano (a volte quasi à la Dirty Three) siano stranamente alla base di quel (blues)folk popolare tutto sud-italiano; esempio più che palese è Strofe della guaritrice, una vera e propria filastrocca che attinge a piene mani da chissà quale antica storiella per bambini, con tanto di morale finale, il tutto su una stizzata base ritmica ove si poggiano violini e suoni stridenti stile nuovo Nick Cave. Simile ragionamento si può fare su La sicilia havi un patruni, tutta cantata in siciliano, ed anche in E alavò. È proprio qui che va a posarsi e formarsi la figura e quindi il rimando a De Andrè, facendo di Basile una sorta di versione più ruvida e (se tale termine m’è permesso) moderna di quest’ultimo. Continuando, se Elon lan ler acquietisce tutto, in pieno stile fiabesco, con una melodia d’orchestra (registrata e concertata, infatti, a Skopje dall’Orchestra della Radio Nazionale Macedone), nella seguente Sette Spade (ancora una volta De Andrè è più che mai vicino) il passo si fa veloce e appare in superficie una certa gioia, grazie anche al ripetuto e coinvolgente verso “sorella mangi terra e loro mangian pane”. Infine, la dolcezza di Questa notte l’amore a Catania conclude l’album, con un mezzo sorriso in bocca e con la sicurezza di riuscire a toccare nel profondo dell’anima l’ascoltatore.
A quarantasette anni suonati, Cesare Basile dimostra l’arte del saper suonare onesti. Lui, del resto, se ne frega. “Sette pietre per tenere il diavolo a bada” (impreziosito comunque dai più giovani, si fa per dire, Roberto Angelini, Rodrigo D’Erasmo, Alessandro Fiori, Enrico Gabrielli e altri) è, infatti, un album nettamente fuori moda. Ma va bene cosi, in fondo quel che conta è l’apparire sempre più maturo, sempre più saggio cantore di uomini sconfitti dal fato, senza apparire mai troppo pessimista e abbattuto, anzi.
Davide Ingrosso
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