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Alcune attese sono così sentite e intense da confondere, quando vengono finalmente soddisfatte. È per questo che, prima di parlare anche noi di “Ormai”, abbiamo deciso di attendere qualche settimana, il tempo necessario per ascoltarlo, riascoltarlo e assimilarlo.
La conclusione è che, superato il misto di euforia e spaesamento iniziali e lasciato il precedente Sfortuna in un angolino a prender polvere per un po’, “Ormai” è un disco a cui voler inevitabilmente bene: un disco capace di trasformare le giornate, tirar fuori dall’ascoltatore una miscela di accettazione e tristezza e fargliela sputare fuori, fargliela urlare ma non troppo.
Va da sé che, nei quasi tre anni che ci separano dal penultimo disco, ci siano stati vari cambiamenti: il primo, il più evidente è proprio nelle urla di Jacopo che appaiono come soffocate, inabissate assieme ai testi a diversi metri di profondità, creando una sensazione di disorientamento e serena passività (come ascoltare il mondo totalmente immersi nella vasca da bagno, insomma). Ma, nonostante questo “smorzamento”, c’è una rinnovata forza nei testi: superano ormai quel senso di autocommiserazione che pervadeva il lavoro del 2009 per sfociare in una splendida rassegnazione che si attacca addosso all’ascoltatore con la solita potenza data dai ritmi serrati a cui i Fine Before You Came ci hanno abituati.
Manca, probabilmente, la cupezza grigia delle sonorità di “Sfortuna” ma, a lungo andare, il risultato è lo stesso enorme buco interiore: soprattutto il finale – con, in sequenza, due fra i pezzi più riusciti, Capire Settembre e La domenica c’è il mercato – ha la capacità di lasciare l’ascoltatore col fiato sospeso e un profondo senso d’inadeguatezza sulle spalle.
In barba a tutti i giudizi troppo affrettati, “Ormai” è il paradigma di quanto siano necessari diversi ascolti prima di comprendere e affezionarsi davvero a un album. Noi continuiamo a premere play, scoprendone ogni giorno sfaccettature diverse.
Annachiara Casimo per Mag-Music
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