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L’incidente che ha lasciato quasi illeso un operaio come Phineas P. Gage, nel tentativo di posizionare una carica esplosiva, è una di quelle storie più uniche che rare avvenute negli anni. Riuscire a sopravvivere dopo che un bastone ti ha trapassato parte della testa, alterandoti la psiche, ma risparmiando la vita, non poteva non diventare un caso, dal 13 settembre 1848 fino ad oggi. Ed è anche complicato darne una propria visione, se non si hanno il tatto e gli strumenti giuste. Eppure scrivere un disco che è sia il proprio nuovo lavoro in studio che un’ipotetica visione delle cose immedesimandosi nello stesso sembrerebbe essere possibile, eccome. Se si è romani, si è militato nel Collettivo Angelo Mai e si è saputo ricostruire una carriera grazie a Nick Drake e il proprio nome è Roberto Angelini la risposta è sì.
Perché ascoltare un disco come questo “Phineas Gage” significa fare breccia nei pensieri e le parole, modi di esprimersi e di vivere che hanno la meglio sull’individuo, non solo per quanto riguarda il diretto interessato. È un disco cerebrale e colmo di vitalità, sperimentazione e vita di tutti i giorni, semplicità del pop d’autore che si fonde a contaminazioni elettroniche che sono tutt’uno con i comportamenti della psiche umana, in particolar modo nei quattro momenti strumentali facenti parte del lavoro.
C’è il tocco aphextwinesco di Nella testa di Phineas Gage che si contrappone ad una Felafel avente come sfondo l’apparato mnemonico, centro di un blackout destinato a finire in poco tempo, prima che, con Gibilterra, sopraggiunga il risveglio dopo il torpore, coadiuvato da isolati fiati dal retrogusto jazz e da soavi voci d’accompagnamento, finché le dita che scorrono sulla chitarra che accompagna Vento e pioggia non portano al raggiungimento della pace interiore. E c’è la voce dell’uomo, centro della dolce poesia elettro-acustica che vola tra le note del singolo di anticipazione Cenere, probabilmente una delle sue canzoni maggiormente riuscite, dell’esotismo stereolabiano attraverso cui viene tracciato il panorama che si stende su Roma mia d’estate, del contatto con la realtà ripreso con Al mio risveglio, della solarità che si respira in Come sei, cantata in duetto con Awa Ly, di una scarna ed ottima cover del sopracitato Drake, stavolta quella di Black Eyed Dog, e di un Blues senza mutande che arriva persino a raggiungere echi caposseliani.
Che Angelini fosse ormai un autore maturo era ben chiaro dal precedente “La vista concessa”, ma quest’album va oltre, e ci consegna un artista la cui classe dà una birra a certe personalità che, arrivate ad una certa età, sarebbe meglio che si fermassero per fare un giusto quadro della situazione. In un mondo dove non c’è solo l’anima di Gage, ma anche quella di molteplici suoi simili, fatti di carne, ossa e sentimenti.
Gustavo Tagliaferri
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