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Addio adolescenza, benvenuta maturità. A solo un anno di distanza dall’EP “Slowmosheen“, il quintetto parmense degli Shinin’ Shade torna alla carica con un full-lenght dal titolo “Sat-urn“. E la differenza si sente.
Se “Slowmosheen” era un lavoro buono ma ancora acerbo, un banco di prova per la vocalist Jane-Esther Collins, il nuovo album segna la definitiva crescita del gruppo, la trasformazione da crisalide a farfalla. E basta ascoltare i primi secondi del disco per rendersi conto del salto di qualità, non solo nella complessità del songwriting e degli arrangiamenti (soprattutto di batteria), ma anche nella produzione: i nuovi Shinin’ Shade continuano sulla strada della psichedelia virando però verso sponde decisamente più doom, con distorsioni granitiche e ricche di profondità, anni luce lontani da quelle iper-compresse tanto amate dalla scena metal moderna. L’esempio perfetto di questo nuovo sound è l’opener Our Time and Space, un colosso che viaggia tra Black Sabbath e Nevermore vecchio stampo impreziosito dalla voce calda e sensuale di Jane-Esther, vera punta di diamante della band. La dimostrazione sta nella successiva Keyhole/Inner Saturn, un lungo viaggio melodico verso mete sconosciute, dove la voce della Collins dipinge paesaggi sonori, quasi un Virgilio che guida l’ascoltatore nelle viscere dell’oscurità. Ma sono momenti introspettivi e malinconici come quelli di Through the Wires of your Mind, sei minuti di musica intensa e sanguigna, che rendono questo disco un vero gioiello della scena doom italiana.
Più pesante, più profondo, più oscuro: “Sat-urn” è uno di quei dischi che non si dimenticano facilmente, una spanna sopra tutte le centinaia di nuovi album che ogni giorno spuntano in rete. Insomma un altro centro per la Moonlight Records. Gli Shinin’ Shade ora fanno sul serio. E se l’intuito non m’inganna, questo è solo l’antipasto.
Dario Marchetti
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