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Non sconvolge ma stupisce e colpisce fino in fondo questo disco dei Power Trip, il primo full-lenght dopo la classica sfilza di EP d’ordinanza. È certamente un disco affine al risultato di un amalgama sonoro affatto nuovo e sperimentato in varie salse, ma quello di cui fanno sfoggio i Power Trip un po’ mi mancava. Credevo di avere tutte le chiavi per interpretare un genere nato già morto e mai realmente esploso in tutta la sua festosità birraiola, o speravo di poterle rintracciare in band note come i Municipal Waste – appunto – nati già morti e straordinariamente demodé rispetto al trend che loro stessi hanno sdoganato, e nel gustoso pastrocchio voivodiano dei Vektor, che si sono spinti talmente in là da recuperare tutta un’estetica ottantiana che arriva massimo ai Kreator e comunica col più antico e creativo sottobosco thrash in maniera capillare e meticolosa, pur di non attraversare la soglia degli anni Novanta.
Con i Power Trip il gioco è già più semplice ma, a suo modo, nuovo. Complice una produzione che valorizza il precipitato piacevolmente old school della band (per dire: voci in perenne delay, rullanti polverosi, chugga-chuggapre-Sunlight Studios), il risultato finisce per inserirsi dritto dritto negli annali della moderna ondata thrashcore che spopola tanto in Usa e Inghilterra pur lasciando alla bandun ampio margine di lotta per il proprio posto d’onore, se è vero che la riscoperta di suoni hardcore vecchio stile per una volta lascia perdere la deriva ormai ovvia di chi ha eletto D.R.I. e compagnia inebetente a pilastri del genere e recupera il terreno che fu di band innovative come i Cro-Mags. Insomma, meno Nuclear Assault del solito e qua e là una qualche traccia che parte da quel tipo di hardcore e arriva addirittura fino ai primi Possessed. Quel vocalismo lancinante, pur annegato nel machismo hardcore dei texani, è praticamente indiscutibile, come resta inalterata l’urgenza di quelle band acerbe e violente dei tempi che furono.
Per chi gradisce i tempi medi (e torniamo ai Cro-Mags, appunto, e a tutta quella scuola newyorkese che ridefinì l’hardcore della prima era) quest’ascolto potrà considerarsi più che un semplice tassello sperduto nel grande mosaico del genere. Personalmente resto affascinato dalla durezza del suono, qualcosa che per continuità d’influenze (ma non solo: produce Southern Lord e una certa ombra inquieta abbraccia i Power Trip e gli altri confratelli) mi riporta all’ultimo Black Breath (“Sentenced to Life“), e da una scorrevolezza del tutto tale che vi parrà di non averne mai abbastanza.
Fa da contorno un pacchetto rigidamente old school (andatevi a guardare le foto del retrocopertina). Ma siamo già troppo avanti, pressati contro le transenne con le nostre Nike Air belle pompate a pigliarci gomitate nei denti.
Un disco da party anche se ben più drammatico, se paragonato ad altri epigoni del genere.
Nunzio Lamonaca
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