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Il lamento della Terra. Contemporaneamente, l’inizio e la fine dei tempi. Quale altro momento della propria esistenza è di maggior rilevanza? Secondo Lorenzo Bracaloni, fautore della one man band The Child of a Creek, nessun altro. Dentro The Earth Cries Blood, sua quinta fatica in studio, c’è la massima espressione di tutto ciò. L’uomo a confronto con la sofferenza vista dall’esterno, più che dall’interno, delineato al suono di un folk apocalittico che apre al nuovo giorno (Morning Comes) e successivamente volge al suo opposto, passando dal blues alla psichedelia con la seducente voce addizionale di Pantaleimon (Don’t Cry to the Moon), ma anche virando verso una forma di ambient tanto dark (Remembrances) quanto più calda (Black Storms Fly High, My Will to Live), il tutto lungo traversate che vanno dalle Ande (Journeys of Solitude and Loss) a un Fiume Giallo neanche tanto lontano (Terrestre), fino a un retrogusto quasi celtico tipico di certi momenti classicheggianti (Leaving This Place, Birds on the Way Home). Brivido dopo brivido, è chiaro che a uno sgorgamento di sangue possano corrispondere dei benefici da parte di chiunque fruisca delle parole che Bracaloni offre, e che ancora una volta entrano sotto pelle, senza lasciarsi andare. Tipico di un disco di grande valore come questo.
Gustavo Tagliaferri
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