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Il Romaobscura è un festival romano giunto alla sua seconda edizione. Dedito nel complesso a sonorità che generalmente vanno dal doom al black (comprese le varie influenze, correnti e sottogeneri), si tenne già il 5 maggio 2013 con ospiti illustri quali October Tide (come headliner) e The Foreshadowing. A quanto pare la prima esperienza deve essere stata talmente positiva da voler essere ripetuta con un bill ancora più ambizioso, seppur leggermente limitato.
I cancelli vengono aperti alle 18:30 e quasi subito troviamo sul palco la prima band, i Seventh Genocide, alla quale viene lasciata una ventina di minuti e che propongono quel misto tra post-rock e black-metal tanto caro agli Alcest di “Écailles de lune” e “Les voyages de l’âme”, così come a sempre più gruppi ormai. La loro musica risulta già di per sé parecchio derivativa e una performance non delle migliori non permette, purtroppo, di spezzare neanche una lancia a loro favore: si è sentita troppo la mancanza di un po’ di movimento sul palco. Il pubblico che per la maggior parte stava ancora all’entrata a fare la fila, una voce perennemente effettata e solo in scream e, infine, qualche errorino nell’esecuzione hanno fatto il resto.
Dopo di loro tocca ai Glacial Fear, formazione calabrese che ha membri in comune con Zora, Unscriptural e A Buried Existence. Suonando una sorta di via di mezzo tra groove e death metal, si discostano forse dall’indirizzo generale che intende prendere il festival, ma hanno il pregio di riempire un po’ di più la sala del Traffic e di riuscire a scaldare maggiormente il pubblico, complice sicuramente una maggiore esperienza. Tuttavia anche la loro esibizione non è esente da problemi o difetti: dei volumi non bilanciati molto bene e la ripetitività dei pezzi proposti ne intaccano la buona riuscita.
Il prossimo gruppo, gli Shores of Null, è il primo che finalmente riesce a farci immergere completamente nelle atmosfere del Romaobscura grazie ad un buon amalgama tra un death-doom molto epico ed un melodic death cadenzato. Il giocare in casa e l’essere l’unica riconferma della prima edizione forse li aiuta ad avere più sicurezza sul palco e a riuscire a condensare ancora più gente all’interno del locale. Rimangono comunque innegabili l’alta qualità delle composizioni e la loro performance quasi impeccabile; e dico quasi per via di qualche ennesimo problema al volume dei microfoni che non ha permesso di apprezzare l’ottima voce del cantante, grandiosa ed epica sia in studio che live, sia in pulito che in growl.
Ci pensano gli Abysmal Grief a farci entrane nel vivo della serata: una croce davanti al palco affiancata da un paio di torce, dei cerini sparsi sugli amplificatori, una bambola in una mini bara con dei fiori a lato della batteria e un forte odore d’incenso introducono la formazione genovese. Un frate perennemente incappucciato di cui si intravvedono solo barba e capelli lunghi al basso, un chitarrista col collarino ecclesiastico e un cantante in giacca e cravatta nere e camicia grigia ci fanno solamente presagire le atmosfere allo stesso tempo blasfeme e grottesche che sentiremo di lì a breve. E a questo punto sembrerebbe quasi inutile aggiungere che della musica di ottima qualità e una presenza scenica delle migliori hanno permesso di assistere ad un’esibizione fenomenale.
Gli Handful of Hate, che il cantante presenta come “la punta di diamante dell’estremismo estremo italiano“, ci avvicinano di un ulteriore passo agli attesissimi headliner del festival. Devo anzitutto premettere che il black-metal non è esattamente tra i miei generi preferiti e che non nutrivo grandi speranze o aspettative per l’esibizione del gruppo di Lucca. Tuttavia i continui “andiamo!” di incitamento del cantante ed una musica veramente carica di groove hanno sortito il loro effetto, coadiuvati da face-painting, chitarre a zanzara e blast beat a più non posso. Purtroppo hanno messo il loro zampino dei fisiologici problemi con i volumi delle spie e un fastidioso feedback che faceva capolino tra un urlo e l’altro del frontman.
Altra formazione che, per così dire, gioca in casa è quella dei Doomraiser. Dediti ad un doom-metal più classico e tradizionale, si presentano sul palco con un look da motociclista e da metallaro classico. Dimostrano sicuramente una certa esperienza live e il Traffic comincia a riempirsi veramente, forse anche in vista dei Primordial. Nonostante li abbia trovati migliori e più efficaci dal vivo che su disco, la loro performance risulta inevitabilmente rovinata dai bassi eccessivamente alti – e non è un gioco di parole – i quali disturbano parecchio gli spettatori e sovrastano tutti gli altri suoni, nonché da un feedback quasi costante.
Dopodiché solo mezz’ora separa il pubblico dai Primordial. L’attesa è enorme, inevitabilmente complice il fatto che il Romaobscura sia il primo evento a portare il gruppo irlandese (unica band straniera del bill) a Roma. Mentre il resto dei membri è abbigliato normalmente, solo il cantante veste in modo particolare: abiti stracciati e una pittura rossa, bianca e nera che ricopre tutto il corpo, faccia compresa, lo fanno sembrare appena uscito da una battaglia. Alan riesce soprattutto a dimostrarsi un frontman eccezionale: ad inizio concerto si è mostrato ai fans nel retro del locale, dispensando foto e autografi, e sul palco non risulta da meno, aizzando la folla, dialogando e scherzando col pubblico. Incita anche i colleghi, soprattutto il bassista nel momento in cui si ritrova, sconfortato, a suonare un paio di canzoni iniziali a vuoto a causa di alcuni problemi col suo amplificatore.
Insomma, al Romaobscura non è mancato nulla, neanche la fatidica As Rome Burns, richiesta più e più volte dai fan. Certo, qualche problema coi volumi c’è stato e stare in piedi dalle sei di pomeriggio fino alle due di notte ha sfiancato molti, ma in compenso non ci sono stati ritardi e gli orari sono stati bene o male rispettati grazie ad un’ottima organizzazione. E ne sarebbe comunque valsa la pena.
Edoardo Giardina
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