Quante volte è risorto il punk? Dal 1977, dall’apice che è stata anche la tomba del movimento, ci sono state valanghe di derivazioni e ricorsi. L’ultima ondata l’hanno capitanata proprio i canadesi Simple Plan, che nel 2011 hanno entusiasmato i ragazzi di tutto il mondo con Get Your Heart On! E tutti i fantasiosi singoli che l’hanno spinto in cima alle classifiche. Da allora il quintetto è stato in tour per più di due anni e solo ora si appresta a sfornare il prossimo capitolo. Li abbiamo incontrati di passaggio in Italia per il lancio del singolo “I don’t wanna go to bed” che ha anche un video con il cameo di David Hasseloff.
Vi siete proprio identificati col California rock ormai…
Sai, tutte le band che ci hanno formati musicalmente provengono da quell’area e le nostre vecchie influenze ritornano. Pensi di ascoltare nuova musica figa e invece poi a dettare legge è sempre quella che hai sentito negli anni della tua adolescenza. E poi è una musica che ti porta via i dolori e ti fa sentire unito agli altri, il che è un bene.
Questo disco uscirà solo nel 2016, perché tanti singoli prima?
Arriva un momento che dici come artista: ok, basta abbiamo il feeling che il lavoro è completato. Però siamo perfezionisti e ci porta via molto tempo quindi volevamo far sapere al nostro pubblico che continuiamo a scrivere. La musica per noi è un rifugio e non facciamo solo canzoni spensierati, ci saranno nell’album anche altri temi più profondi.
Siete molto attivi sui social media, che cosa vi porta questo dialogo col pubblico?
Sappiamo sempre cosa pensano e ci piace sentire le opinioni dei fans. Può essere anche pericoloso, ti senti stupendo ogni giorno ma sappiamo che non può essere così. C’è anche da dire che la gente tende a essere molto diretta sui social ma per fortuna sono benevoli con noi.
La vostra party music può essere una risposta agli attacchi che subiamo in questo momento?
C’è molta negatività nell’essere obiettivi di morte solo perché ci si riunisce per un concerto. Credo che sia il simbolo dell’attacco alle cose per cui sono riconosciuti i nostri paesi. Noi ci divertiamo con la musica, siamo aperti e accogliamo persone di nazionalità diverse. Tutte cose che ai terroristi non piacciono. Ma è quello che facciamo nei nostri paesi, la nostra civiltà considera la musica qualcosa di sacro, di speciale, che significa molto per tante persone. Noi come band, e anche i nostri colleghi immaginiamo la pensino così, dobbiamo solo continuare a suonare e a far divertire le persone.
Cosa rappresenta per voi la libertà?
È la libertà di pensiero e di opinione e può essere essenzialmente il messaggio basilare che lanciamo con le nostre canzoni. Infatti diciamo a chi vuole iniziare a suonare proprio questo: se non avete un messaggio, un obiettivo, cercatelo. Provate, scrivete, partite dai contenuti e qualcosa succederà.
È un buon momento secondo voi per il punk pop?
Quando ci hanno offerto un contratto nel 2001 tutti ci dicevano: vi dovete sbrigare perché l’ondata finirà presto e rischiate di perdere il treno. E invece siamo qui dopo 15 anni a parlarne ancora, quindi significa che è un genere che vive e si rigenera. È anche frutto delle community di internet, prima del web chi non era in tv o sui giornali a larga diffusione non aveva possibilità di connettersi col pubblico. Invece oggi anche se non hai mezzi c’è sempre qualcuno che ti darà visibilità su internet.
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Intervista a cura di Christian D’Antonio
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