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“Arrivederci primo amore mio…”.
Arrivederci. Ci rivedremo un giorno. Di nuovo, le nostre strade si uniranno ancora. Forse per sempre. Chissà. Sarebbe stato più consono usare “addio”, nel testo di De Pedis: addio “primo amore mio”, addio “padre, scusi se non ho saputo ritrovare dio”, addio “Roma, scusa se ti ho ricordato che si muore”, addio “giovinezza mia”. Ma Alessandro Raina ci rassicura: “questa vita no, non è finita”.
Tre anni dopo il pregevole ma piatto esordio con “La stagione del cannibale” e un anno dal bellissimo EP “Filemone e Bauci”. Quest’ultimo parlava chiaro: gli Amor Fou stanno cambiando. Via l’elettronica e i campionamenti, sì alla raffinatezza (analogica) delicata di chitarre, basso, batteria e pianoforte: il calore prevale. Da Homesleep a La Tempesta a EMI (per le major: “c’è crisi dappertutto, si dice così…”). Cambio anche di organico: Cesare Malfatti e Lagash sono usciti dal gruppo, dentro il chitarrista Giuliano Dottori (autore di un bellissimo disco, ”Temporali e rivoluzioni”, uscito l’anno scorso) e il polistrumentista Paolo Perego.
Ascoltare “I moralisti” fa lo stesso effetto di guardare, nel 2010, una vecchia pellicola in bianco e nero. Nello schermo distorto ecco comparire i vari personaggi, reali e verosimili, di questo concept: il “bandito moralista” Enrico De Pedis (De Pedis), un prete (!?) che inibisce la sua attrazione verso un ragazzo (Un ragazzo come tanti), una ragazza suicida (Anita), noi e i nostri “duemilacinquecentoventisei amici” (Peccatori in blue jeans). Una carrellata di personaggi che porta alla mente quelli di un altro concept, anche se presi in un contesto più “tragico”: “Tutti morimmo a stento” di Fabrizio De Andrè.
Musicalmente, com’è questo disco? Gli Amor Fou attingono a piene mani tra la “vecchia” e la “nuova” tradizione musicale italiana: da una parte il beat anni ’60 e i cantautori (De Gregori, Dalla), mentre dall’altra le “nuove leve” come Tiromancino e i Baustelle, meno “mistici”. Ottimi arrangiamenti: balzano subito all’orecchio i bellissimi ricami di chitarre, che sembrano quasi delle carezze al cuore, e le tastiere, troppe ma belle (chissà come faranno dal vivo). Raina si conferma un ottimo cantante e autore.
Stupendo.
Marco Gargiulo
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