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Cinque figure compongono un puzzle, raffigurante un pomodoro, che risponde al nome di BEAUTIFUL. Un produttore straniero, uno italiano e una band che ha visto la sua maturazione anche grazie a quest’ultimo. Sono Howie B., Gianni Maroccolo e i Marlene Kuntz, autori di un progetto che pare essere davvero funzionante e soddisfacente, dopo i primi ascolti. La parola va a Gianni Maroccolo.
Perchè BEAUTIFUL? Come idea, come nome, come tutto…
Per il piacere della musica. Per il piacere dell’incontro e del confronto. Per vivere un’esperienza forse un pò “retrò” e/o cmq desueta, come quella della jam session. Beautiful è soprattutto questo. La fotografia di un incontro, quella fra me, MK e Howie. La fotografia integrale di una jam di dieci giorni. È un pomodoro, l’energia di Howie, il film che sta montando in questi giorni Fernando Maraghini, è un concerto estemporaneo, è una gioia al-kemica resa possibile da Ala Bianca.
Ascoltando l’album, c’è da dire che la voce qui assume un ruolo secondario. Non a caso Cristiano Godano canta in poche tracce. Che la vostra intenzione sia stata quella di fare una specie di album di jam session? Di matrice teatrale, poi, visto il luogo in cui è stato registrato…
Direi di sì. Ci siamo detti cosa non volevamo fare prima di trovarci a Longiano. Non volevamo fare un gruppo, non volevamo fare un disco di canzoni. Suonare e registrare l’embrione creativo prima dell’intervento classico della “produzione”. Unica eccezione è stata per la voce. Si era deciso per un disco strumentale ma durante le session Howie ha convinto cristiano a cantare qualcosa in inglese.
La cover di White Rabbit dei Jefferson Airplane. Come vi siete sentiti a riarrangiare una canzone le cui sonorità sono distaccate da quello che in genere fate? Considerando che non è un gioco da ragazzi…
Beh, ho cinquanta anni, non credo quindi di essere lontano dai Jefferson né dalla musica che veniva suonata in quegli anni. Detto ciò, è stata una proposta di Cristiano, Italia Wave ci chiese di partecipare all’edizione del loro bellissimo festival dove si festeggiava il 50nario di Woodstock. Ogni artista avrebbe suonato una cover di Woodstock e Cristiano ha scelto White Rabbit. Ottima scelta direi!
Che cosa avete in programma per il futuro? Magari c’è anche la possibilità di sbarcare all’estero…
A parte i concerti di novembre e dicembre… “No future” direi. Al-kemi e Ala Bianca stanno lavorando per fare uscire il disco all’estero. Se tutto andrà bene, fare qualche concerto il prossimo anno fuori dall’Italia.
Facciamo il punto della situazione. Al-kemi non è interpretata come un’etichetta discografica ma come una vera a propria factory. Come, quando e soprattutto perché ha preso forma?
Ha preso forma per diverse ragioni. La prima, come spesso mi capita di dire, nasce da una mia esigenza fortissima di dare un contributo costruttivo per cercare di uscire dalla piattezza culturale e sociale in cui è piombata l’Italia da oltre dieci anni. Fare la propria parte insomma, e io solo così posso farla. Cercando di costruire qualcosa in grado di fare circolare idee, cultura, musica, arte. Una comunità che sia in grado di autoalimentarsi, di entrare in contatto con altre realtà simili, di dare voce e visibilità alle avanguardie. Al-kemi nasce anche per mettere in contatto fra loro in modo concreto ogni forma e disciplina artistica. Al-kemi nasce con questi scopi primari e si costituisce come associazione culturale. Parallelamente all’ associazione agisce la “factory” ovvero: un management, un’etichetta discografica, una struttura promozionale. La “factory” nasce e si concretizza per merito di Ala Bianca e di Toni Verona che sta fortemente credendo e investendo in questa iniziativa. Sia chiaro, lungi da noi il pensiero che si possa “da soli” cambiare le cose. Noi stiamo provando a farlo e speriamo di poter condividere il nostro percorso con altri che la pensano in modo affine e/o che sentono la stessa urgenza, la stessa voglia di fare qualcosa.
Tempi di crisi e download selvaggio, le tue considerazioni?
La crisi della discografia è cosa di diversi anni fa e non incide più di tanto nella vita delle persone che cmq possono trovare facilmente tutta la musica che desiderano. La crisi riguarda il nostro tempo malato. Privo di dignità e popolato (per dirla alla Battiato) da parassiti. Ma questo è tutt’altro discorso. Tornando alla musica stiamo vivendo un periodo di “mutazione”. Il download selvaggio e/o il web in genere sono a mio parere una “manna”. Quest’ultimo in particolare ci permette di informarci in modo veritiero, di far circolare idee e buona musica, di provocare incontri. Io credo che il “domani” non sarà peggio di oggi o di ieri. Sono fiducioso anche perché da trenta anni sono abituato a operare in situazione di “crisi”.
Consorzio Produttori Indipendenti e Sonica, due delle etichette che hanno “fecondato” la musica italiana degli anni ’90 producendo gruppi come Santa Sangre, Santo Niente, Üstmamò, Wolfango, Disciplinatha e soprattutto i Marlene Kuntz, gli unici a “sopravvivere “ fino ai giorni nostri. Al-kemi è il proseguimento naturale di quelle due esperienze?
In parte lo è. E in parte no. Oggi sarebbe impensabile produrre musica e costruire progetti “creativi” come nel ‘94. Oggi l’artista non ha scelta. Deve per forza mettersi in gioco in prima persona ed essere principale artefice del suo destino. Strutture come Al-kemi possono investire tempo, esperienza, energia e qualche euro, fungere da cassa di risonanza, gestire insieme all’artista un percorso, ma non certo come fu possibile per gli artisti del C.P.I.
Un ricordo del C.P.I. e di Sonica.
Nostalgia. Orgoglio. Materiale resistente. Tributo a Robert Wyatt. Il primo raduno del Maciste.
La compilation di presentazione della factory, “Debut”, mi ha ricordato quelle belle compilation che uscivano negli anni tra gli ’80 e i ’90 prodotte da etichette come Mescal, Vox Pop e I.R.A., quest’ultima in particolare con “Catalogue Issue”, dove partecipasti con due pezzi dei Litfiba, che all’epoca servì a far conoscere “il nuovo rock italiano”. Possiamo definire “Debut” una nuova “Catalogue Issue”?
Non credo. “Debut” è una piccola testimonianza delle nostre intenzioni e l’occasione per presentare dei giovani artisti. “Catalogue Issue” in pieno fermento post punk wave, in un contesto diverso da quello odierno. L’attenzione verso la musica era ben diversa così come il desiderio di appartenenza a “qualcosa” che in quegli anni era molto viva. E anche la musica oggi è percepita diversamente da allora…
Foto di Annalisa Russo
Gustavo Tagliaferri e Marco Gargiulo
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