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Giunti alla loro settima uscita, i quattro mefistofelici inglesi guidati da Jus Oborn si ripresentano sulle scene con questo “Black Masses” firmato dalla tentacolare Rise Above Records.
L’album si materializza dopo ben tre anni di silenzio discografico e all’alba dell’ennesimo cambio di line-up che vede Tas Danazoglou sostituire Rob Al-Issa al basso.
Eppure, nonostante l’abbondante e corposa pausa riflessiva che poteva far presagire a un ritorno sulle scene ricco di sorprese e di spunti creativi, mi trovo fra le mani un lavoro a tratti opaco e poco coinvolgente. Sostanzialmente poca luce all’orizzonte; il disco, se non altro, vive di rendita stilistica acquisendo l’incipit dal precedente “Witchcut Today”. Una certa fluidità nel songwriting è oggettivamente riscontrabile ma nulla a che vedere con la “genialità” (se di genialità vogliamo proprio parlare) di capolavori (che, comunque, fatico a definire tali… ma se proprio dobbiamo…) alla stregua di “Dopethrone”.
Già… perché il punto cardine su cui far ruotare ogni riflessione può essere sintetizzato in un unico quesito: genio deviato o sovrastima? La chiave di lettura di questo “Black Masses” sta anch’essa racchiusa dentro quest’amletico dubbio e, come di consueto, per la settima volta mi ci ritrovo a fare i conti. Sebbene gli Electric Wizard non mi abbiano mai convinto appieno, e nonostante io li abbia sempre considerati più fenomeno di culto che di sostanza, riconosco in loro gli sforzi nella ricerca di una qualsivoglia evoluzione, se di evoluzione vogliamo parlare.
“Witchult Today” e “Black Masses” hanno in comune una certa tendenza seventies che, come dicevo in apertura, rendono la costruzione dei brani quel pizzico più “rotonda” rispetto alle asettiche architetture (sempre che mi venga permessa la definizione) cui ci hanno abituato da qualche tempo. Se da un lato la matrice doom è pur sempre predominante com’è ovvio che sia, dall’altra Jus e compagni tentano di accompagnarci in territori marcatamente più psichedelici e addirittura ai confini dello space rock. La predominante è comunque sempre oscura e sommersa dall’iper wattaggio claustrofobico tipico della formazione britannica. Concetto mai rappresentato con più efficacia che in un’allucinata Venus in Furs seguita a ruota dall’ancora più “mantrica” The Nightchild. Il disco procede un po’ con fatica, ci s’impegna a digerirlo proprio perché gli spunti di pseudo – genialità faticano a mostrarsi oppure, risiedono celati dai pesanti riff che affollano questo “Black Masses”. Neppure la “briosa” opener, tendenzialmente fuori target per i quattro, ma forse da considerarsi l’episodio più incisivo dell’intero lavoro, riesce a dare quel qualcosa in più, se non altro, per la mera soddisfazione di aver dato credito a una band che si è guadagnata una sorta di “status” nel corso degli anni.
Il resto è cronaca, accordi dall’impatto mastodontico che cercano di distogliere l’attenzione da una probabile pochezza di base. Le idee purtroppo in casa Oborn scarseggiano e non saranno certo gli empirici tentativi alchemici della rivisitazione o dell’apertura stilistica verso altri lidi a riverniciare di fresco quanto, probabilmente, rimane solo un’illusione.
La ricerca, specie se orientata verso l’originalità, per quanto il genere lo consenta, è pur sempre apprezzabile e lodevole per quel che riguarda l’intento. E di questo dobbiamo dargliene atto; “Black Masses” ci prova. Purtroppo la strada da percorrere per gli Electric Wizard è ancora lunga e tortuosa: nonostante il bagaglio d’esperienza di tutto rispetto, purtroppo…. Tutto da rifare.
Cecco Agostinelli
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